Carta Rosa è uno strumento di informazione e di sostegno, nell’ambito della finanza agevolata, rivolto alle donne che vogliono diventare protagoniste del proprio lavoro.
L’iniziativa si inserisce in una serie di numerose attività che Sef ha sviluppato e sta progettando in base alle esigenze che la società esprime.
E certamente la questione di genere, che investe molti ambiti, trova nel lavoro problematiche particolari e che meritano riflessioni e risposte accurate e specifiche.
E quando parliamo di donne e lavoro dobbiamo necessariamente ricordare che esiste il lavoro dipendente, ma anche quello imprenditoriale, che molto spesso appare come una risposta delle donne ad un mercato del lavoro che non le valorizza, le sottopaga, le fa sentire inadeguate e colpevoli se diventano madri, in una società nella quale i servizi di sostegno alle famiglie sono poco più che inesistenti e dove il lavoro dipendente confluisce spesso in un part-time (che non è sufficiente a garantire autonomia economica) o addirittura nel licenziamento.
Nel 2020, le imprese femminili in Italia sono oltre 1,3 milioni, pari a poco meno del 22% del totale e risultano essere imprese giovani e prevalentemente localizzate al Sud, dove i servizi per le famiglie sono ancora più scarsi rispetto al Nord e, a una minore quantità pro capite di ore lavorate (che implica retribuzioni inferiori) si accompagna una sempre più elevata instabilità. Le attività sulle quali si focalizza l’imprenditoria femminile sono soprattutto assistenza sociale, welness, istruzione, settore turismo e cultura, moda.
Il dato interessante è che, di fronte al dramma della pandemia e alla conseguente crisi economica, con il carico di cura non retribuito delle donne italiane, sarebbe stato lecito aspettarsi una contrazione rilevante delle imprese femminili, come risposta alla carenza di tempo e anche di timore nel futuro. Invece i dati raccontano di una flessione del solo -0,29%. Questo significa che le imprese femminili sono solide e resistono alle crisi in misura maggiore di quanto si potesse pensare.
Di fronte a questi dati, ci siamo domandate che cosa mancasse davvero alle donne per crescere nei loro progetti e stabilizzarli e quali fossero gli ostacoli maggiori che le donne incontrano.
L’Istat certifica che in generale, il 20% delle donne è costretto a lasciare il lavoro dopo la nascita dei figli, percentuale frutto di una conciliazione impossibile tra lavoro e cura della prole, che l’Ispettorato nazionale del lavoro, sulla base delle testimonianze delle lavoratrici, sintetizza in tre fattori: l’assenza di parenti “di supporto”; costi troppo alti di “assistenza al neonato”, cioè asili nido e baby sitter; “mancato accoglimento al nido” del proprio bambino, perché le strutture sono piene e gli asili assenti. La stessa circostanza si riscontra in Europa con dati più confortanti ma altrettanto tristi. In tal senso l’autoimprenditorialità può essere considerata una risposta al bisogno di facilitare la conciliazione casa-lavoro, permettendo alle donne di autogestirsi nel limite del possibile e in coerenza con lo sviluppo di un’attività di business.
Inoltre, la fascia d’età in cui le donne abbandonano (29-44 anni), ossia nel pieno dell’impegno professionale, spiega perché in Italia la parità di salari e di carriere sia ancora così lontana.
In tale contesto, la pandemia ha peggiorato le cose. Lo studio di Accenture e Quilt.AI insieme a Women20 (W20), rileva come le donne siano state maggiormente colpite dalla crisi causata dall’emergenza sanitaria, i guadagni delle donne sono diminuiti del 63% più velocemente rispetto a quelli degli uomini, con un declino medio del reddito femminile di oltre il 16% rispetto a poco più del 10% degli uomini. Ecco che questa appare come la tempesta perfetta. E, se a causa del Covid-19 oltre la metà delle imprese ha dichiarato una riduzione del fatturato senza differenze di genere, per quanto riguarda invece le possibilità di ripresa, le imprenditrici donne prospettano un ritorno ai livelli pre-pandemici ritardato rispetto agli equivalenti maschili (29% contro il 34% non femminile) e ricorrono maggiormente alle misure di sostegno alla liquidità (28% contro 20%).
Eppure le donne, nella storia dell’imprenditoria, hanno dimostrato grande caparbietà, determinazione e fantasia. È italiana Luisa Spagnoli che, nel 1907, aprì una piccola impresa nel centro storico di Perugia, la Perugina, che gestì da sola con i figli durante la prima guerra mondiale. Si deve a lei l’invenzione dei Baci Perugina. E non solo, Luisa fu una pioniera del cosiddetto welfare aziendale, aprì infatti un asilo nido in uno stabilimento. Sappiamo poi che porta il suo nome un marchio della moda famoso ancora oggi. E gli esempi di empowerment femminili sono moltissimi, anche ai giorni nostri.
Rispetto ai risultati d’impresa, va detto che, nonostante le piccole dimensioni (il 97% delle imprese femminile impiega meno di 9 addetti e il 62,3% solo un addetto); la minor presenza nel settore dell’Industria (11,3% contro un equivalente maschile del 27%) e la digitalizzazione rallentata (il 19% ha adottato o sta adottando misure 4.0 contro il 25% delle imprese non femminili); le performance sono migliori come pure l’orientamento all’innovazione, agli investimenti green e alla responsabilità sociale d’impresa (il 72% delle imprese femminili ha adottato programmi di welfare aziendale contro il 67% del resto delle imprese). E questi dati ci dicono che, comunque, l’imprenditoria femminile è tendenzialmente un’imprenditoria di qualità.
Molto spesso le donne imprenditrici, infatti, scelgono questo percorso dopo aver lavorato come dipendenti, seguendo il desiderio di mettersi in gioco, far fruttare il proprio talento, le competenze formative e professionali acquisite. Risulta interessante notare, inoltre, come la molla fondamentale sia una profonda passione nei confronti del proprio lavoro, cui si aggiunge anche il desiderio di realizzazione personale e come ad ispirare molte donne troviamo esempi illustri come Rita Levi Montalcini, Oriana Fallaci, Emmeline Pankhurst, Coco Chanel, e molte altre donne che hanno saputo sfidare i tempi, le convenzioni e i pregiudizi.
E allora, sappiamo che le donne sono capaci di grandi intuizioni e anche grande spirito di abnegazione, serietà e intraprendenza. Non bastano le difficoltà di gestione della vita familiare o una eventuale minor propensione culturale al rischio, per spiegare come mai le donne facciano meno impresa rispetto agli uomini. Dal rapporto di Unioncamere infatti, emerge che il credito è uno degli ostacoli più alti per una donna che vuole fare impresa: solo il 20% ricorre a finanziamenti bancari, in parte perché si aspetta un rifiuto da parte della banca (8% nel caso femminile contro il 4% negli altri casi), mentre prevale l’inclinazione a ricorrere all’autofinanziamento, il 46% di imprese femminili ricorre infatti a un capitale proprio/familiare. Ma anche perché il fenomeno del “credit-crunch” (ossia inadeguatezza del credito erogato o richieste non accolte) è maggiore di quattro punti percentuali (8%) per le imprese femminili rispetto al resto delle imprese (4%). E questo accade perché, anche il sistema bancario richiede alle imprese femminili maggiori garanzie reali, di terzi, di solidità finanziaria e di crescita economica.
E di fronte a queste evidenti disparità ci siamo chieste noi, con le nostre competenze, cosa potessimo fare.
Certo c’è tutto l’aspetto culturale, ma di fronte al fatto che le donne ottengono meno anche sul terreno bancario, abbiamo deciso di creare una sezione, all’interno di Sef, che parlasse unicamente alle donne.
Abbiamo voluto e formato, in questo sostenute e spronate dalla lungimiranza, dalla sensibilità e dall’entusiasmo di Errico Formichella, CEO di Sef, un team dedicato e specializzato nel settore dell’imprenditoria femminile, che sia di aiuto e sostegno per tutte quelle donne che cercano lo strumento di finanza agevolata più consono al loro progetto. Un team che accompagni le professioniste e le imprenditrici o le donne che vorrebbero diventarlo, nell’ottenimento di quelle risorse necessarie ad aprire una nuova impresa, consolidarne o svilupparne una già esistente.
Ne siamo convinte: se crescono le donne, cresce tutto il Paese.