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Napoleone e le radici del risorgimento italiano

Faenza Museo Risorgimento

Dedicato alla valorizzazione del patrimonio documentaristico del periodo napoleonico, il Museo del Risorgimento di Faenza organizza un ricco calendario di eventi che si articola in tre località.

di Alessandro Canzian

Il Comitato organizzatore degli eventi napoleonici 2022 presenta un nutrito programma di manifestazioni che vogliono collegare più territori, vicini geograficamente ma storicamente separati dai confini degli Stati preunitari: la città di Faenza e quella di Forlì nello Stato Pontificio, e la città fortezza di Terra del Sole nel Granducato di Toscana. L’obiettivo è mettere in luce lo stretto legame tra le campagne d’Italia che consacrarono il mito di Napoleone e i prodromi del Risorgimento. <Br>Il primo evento, la mostra dal titolo “Napoleone, la genesi di un mito, le origini del Risorgimento italiano”, si è tenuto a Forlì il 19 marzo presso il Sacrario dei Caduti, mentre a Faenza, il 26 marzo alle ore 11.00, presso Palazzo Laderchi, verrà aperta la mostra “Napoleone e il Risorgimento italiano – la prima campagna napoleonica in Italia e le origini del mito”. Il 9 aprile invece alle ore 17, sempre presso Palazzo Laderchi, verrà svolto un convegno di studi a tema: “Il triennio giacobino – la battaglia di Faenza (o del Senio) – il mito napoleonico per i moderni rievocatori”. <Br>Infine sabato 30 aprile, nei locali di Palazzo Pretorio di Terra del Sole, a partire dalle ore 15.00 verranno esposti documenti e cimeli con un convegno, in presenza e online, dal titolo “Liberté, Égalité, Fraternité – Napoleone, l’Italia e la Toscana (1796-1801)”. <Br>Alla mostra e al convegno si affiancherà una rievocazione storica con il Battaillon Tirailleus du Po, il quale allestirà un accampamento militare e svolgerà attività didattica e rievocativa rivolta ai presenti. <Br>A margine della manifestazione faentina promossa e organizzata dall’Associazione Museo del Risorgimento, nata da un incontro proposto dal capitolo di Bni Maioliche di Faenza e da Emanuela Cantagalli, e realizzata con il patrocinio e sostegno organizzativo del Comune di Faenza, abbiamo intervistato il curatore volontario del Museo del Risorgimento Aldo Ghetti, Cavaliere al merito della Repubblica Italiana, per la sua attività di divulgazione storica.

Una mostra importante, che segna il rilancio del Museo del Risorgimento di Faenza. Da dove nasce l’idea?
«Il motivo fondante è il bicentenario della morte di Filippo Severoli. Comandante divisionale dell’esercito del regno italico, combatté a fianco di Napoleone. Fu da lui nominato conte e quindi ben quotato nell’entourage napoleonico, tanto da essere l’unico italiano che ha il nome scolpito nell’Arco di Trionfo di Parigi. Questa è stata la causa scatenante, perché nello scorso anno, bicentenario della morte di Napoleone, quindi il momento più adeguato per fare qualcosa sui suoi trascorsi faentini, non abbiamo potuto organizzare nulla a causa della pandemia. Il museo è stato chiuso fino a giugno scorso, i volontari che lo gestiscono si erano un po’ dispersi, abbiamo quindi dovuto ricucire le fila, riorganizzarci, rimandando a quest’anno l’occasione».

Una delle particolarità di questa mostra?
«Vogliamo raccontare una cosa che pochissimi conoscono. Faenza, pur essendo un piccolo centro di provincia, ebbe una battaglia Napoleonica a pochi chilometri di distanza: la battaglia del Senio. I contemporanei ricordano solo l’omonimo avvenimento accaduto però durante la seconda guerra mondiale, quando il fronte si fermò qui per alcuni mesi. Nel nostro caso specifico fu uno scontro tra le truppe papaline, che difendevano lo Stato della Chiesa, e le truppe del generale Victor, che arrivò per conquistare la zona. La cosa importante è che Napoleone, dopo aver vinto, venne a Faenza ponendovi qui il comando, e scrisse una relazione sulla battaglia sui giornali francesi. La città, oltre al momento di fulgore in senso militare, divenne anche importante in quanto capoluogo del dipartimento del Rubicone, con una forte presenza amministrativa nell’organizzazione napoleonica».

La mostra presenta alcune particolarità eccellenti…
«Si, abbiamo la riproduzione della torre dell’ex monumento a Rivoli che è stato il cardine che ha dato il via a tutto, perché l’iniziativa è partita con la collaborazione con Bni, capitolo di Faenza, che ci ha messo in collegamento con il museo di Rivoli Veronese. Questo piccolo plastico, che rappresenta il monumento alla vittoria della battaglia di Rivoli, fu distrutto completamente dagli austriaci quando ritornarono perché ricordava loro la sconfitta che avevano subito. Noi abbiamo in mostra questa opera d’arte che rappresenta un monumento di cui adesso è rimasta solo la base».

Ci racconti brevemente la storia del Museo del Risorgimento di Faenza.
«Il museo in breve nasce grazie alla lungimiranza dell’allora direttore della biblioteca comunale, parliamo dei primi del Novecento, che spinse i faentini e più in generale possiamo dire i romagnoli a donare i loro ricordi di guerra. La storia del Risorgimento è una storia segnata da diversi conflitti. Da questo il Comune, dal 2000 e in particolare negli anni 2008-2009, è riuscito a collocare il museo attuale in una prestigiosa sede di un’ex famiglia nobiliare, i Laderchi, che è una delle più antiche famiglie della città. Oggi mi pregio d’essere il curatore assieme a un gruppo di volontari, e quest’anno abbiamo deciso di ricordare Napoleone, che è comunque il punto di partenza del museo. Perché questo va dalla Rivoluzione Francese alla proclamazione della Repubblica».

Un punto di partenza e anche uno degli appuntamenti più importanti di una manifestazione ben più ampia.
«Ci sono tre sedi che riguardano quella che è l’operazione napoleonica, che vuole non solo raccontare gli eventi accaduti nel 1796/97, ma anche raccontare il mito napoleonico. Siamo a Faenza, alla chiesa dei caduti a Forlì, e siamo al palazzo del governo a Terra del sole, tre iniziative di cui la prima svolta il 19 marzo, a cui seguirà quella nel nostro Museo del Risorgimento il 26 di marzo, alle 11 del mattino».

Studiare oggi Napoleone, in un contesto internazionale particolarmente complesso e delicato, che cosa può insegnare?
«La guerra con Napoleone ci può insegnare molto, forse anche in chiave diplomatica. Perché Napoleone fa guerra alla Russia? Perché la Russia non aderisce più al blocco continentale dell’economia inglese. Ma perché Alessandro, dopo aver stretto il patto e aver abbracciato Napoleone nel 1807, nel giro di un paio d’anni smette di aderire al blocco continentale? Perché i suoi nobili gli dicono che se non fanno commercio con l’Inghilterra si impoveriscono. Forse questa potrebbe essere una chiave di lettura. È vero che noi abbiamo bisogno del gas, ma è anche vero che la Russia ha bisogno dei nostri soldi».

Perché le persone oggi dovrebbero venire a vedere e a studiare Napoleone?
«Perché Napoleone è la base di una serie infinita di situazioni amministrative, sociali, civili di cui noi oggi godiamo. Tanto per cominciare la scuola obbligatoria, prima ci si doveva pagare l’istruzione, lui pone l’obbligo per tutti. L’altro è il codice civile, la base fondante dei rapporti sociali attuali nasce dal codice civile di Napoleone. Noi dimentichiamo un particolare fondamentale, l’origine della Rivoluzione francese. Prima c’era un sistema piramidale rigido dove chi nasceva bracciante moriva bracciante, chi nasceva nobile viveva e moriva da nobile godendo di tutti i diritti e di tutta la capacità decisionale. La Rivoluzione francese squilibra tutto questo e fa scattare il meccanismo del merito, cioè si cresce in base alle proprie competenze e le proprie conoscenze. E soprattutto tutti i cittadini hanno gli stessi diritti e doveri, cosa che prima non era. Poi qualcuno dice, e lo diciamo scherzosamente anche noi storici, che Napoleone fu il grande ladro d’Europa. Ha rubato un mucchio di opere d’arte, ma bisogna capirne il contesto, perché tali furti vanno valutati all’interno del loro momento storico. In quel periodo era normale che la guerra alimentasse la guerra, i costi per farla venivano pagati dal saccheggio delle popolazioni vinte. Il contesto di riferimento non va mai dimenticato, anche quando interpretiamo la nostra contemporaneità».


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