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Il Creis lancia l’Osservatorio sulla parità di genere

Il nuovo organismo monitorerà gli studi relativi al contributo delle donne all’economica nazionale per incoraggiare la parità di genere all’interno dei contesti organizzativi. Intervista all’economista Valeria Maione, vicepresidente del Creis.

 

di Alessandro Battaglia Parodi

 

Non ci sono ricette tanto semplici per contrastare la disparità di trattamento economico per le donne in ambito lavorativo. Lo sa bene Valeria Maione, nome noto a chi si occupa di gender gap perché da sempre impegnata sul fronte della corretta collocazione del ruolo femminile nel panorama democratico del Paese.

Maione, economista ed ex docente di Economia del lavoro presso l’Università di Genova, è l’attuale vicepresidente del Creis, Centro di ricerca europea per l’innovazione sostenibile, nonché reggente, dal 2011, della filiale di Genova della Banca d’Italia, oltre a essere stata, dal 2001 al 2016, Consigliera per la parità in Regione Liguria.

La sua lunga esperienza e militanza nell’ambito dei diritti delle donne è oggi al servizio anche dell’Osservatorio nazionale sulla parità di genere, il nuovo organismo nato dalla collaborazione tra il Creis e l’associazione Federazione dei Professionisti, che avrà il compito di monitorare e raccogliere il più ampio numero di studi socioeconomici relativi alla disparità di genere in ambito occupazionale e retributivo.

 

Professoressa Maione, c’era davvero bisogno di quest’Osservatorio?

«Certo, fortissimamente. Le cose non nascono mai dal nulla o senza un perché. E mai come in questo momento era forte l’esigenza di valorizzare il ruolo delle donne nella società civile. L’osservatorio ha avuto una lunga gestazione ed è nato dalla volontà non solo di Creis ma anche della Federazione Professionisti, con la quale abbiamo unito gli sforzi per non disperdere un insieme di esperienze del passato che rappresentano momenti fondamentali della conquista dei diritti delle donne in ambito lavorativo, e che altrimenti andrebbero dispersi e dimenticati. Ma ovviamente non si tratta di un’operazione di banale recupero di dati e storie del passato. Nell’osservatorio ci saranno riferimenti a casi concreti che si sono poi persi per strada che, tuttavia, sono ancora molto utili e che potrebbero costituire ottimi punti di partenza per procedere nuovamente in ambito normativo o semplicemente giurisprudenziale per quanto concerne la discriminazione femminile».

 

L’Osservatorio avrà quindi in compito di sensibilizzare l’opinione pubblica con ricerche e studi di settore?

«Questo è senz’altro l’intento principale. Stiamo già preparando un sito internet di raccolta delle storie di discriminazione, sia al femminile sia al maschile, perché è ormai riduttivo fare distinzioni nette tra uomini e donne. La discriminazione avviene su più fronti rispetto al passato e le disparità in base all’orientamento sessuale sono oggi assai più ampie di un tempo. L’impegno è quello di riuscire a fare buona cultura di settore a partire dalla raccolta di ricerche e statistiche, soprattutto sensibilizzando i decisori pubblici sulle cause nascoste delle disparità e sviluppando operazioni di educazione sul tema della parità di genere, a partire dalla discriminazione sul lavoro, per favorire politiche maggiormente inclusive».

 

Tra queste operazioni c’è anche l’educazione nelle scuole?

«Quello dell’educazione finanziaria nelle scuole è un tema a me molto caro che viene svolto con assiduità dalla Banca d’Italia grazie a operazioni specifiche che si rivolgono ai docenti con l’obiettivo di insegnare ai bambini il valore della moneta nella promozione della cittadinanza sociale. Sicuramente attraverso l’educazione finanziaria possono passare importanti contributi volti a incoraggiare le giovani ragazze a un uso più consapevole e disinvolto del denaro, fenomeno che ancora oggi è pervaso da atteggiamenti e stereotipi che limitano pesantemente le scelte delle donne e la loro indipendenza, come molte ricerche hanno ben evidenziato ultimamente. C’è tantissimo lavoro da fare su questo. Il tema economico dell’educazione finanziaria e della gestione del denaro da parte delle donne è senz’altro fra i più sentiti dall’Osservatorio e sapremo dare valore a numerose operazioni di sensibilizzazione. Ma oltre all’educazione finanziaria vogliamo sensibilizzare le organizzazioni sulle opportunità offerte dalla certificazione Uni/Pdr 125/2022, vale a dire la Certificazione della parità di genere in azienda, uno strumento importantissimo per migliorare l’accesso delle donne al mercato del lavoro e per armonizzare i loro tempi vita».

 

Il gender gap di tipo economico è ora sulla bocca di tutti per via del recente premio Nobel conferito a Claudia Goldin. Ma probabilmente tra poco non se ne parlerà più. Lei teme quest’abbassamento dell’attenzione sul tema?

«Purtroppo sì, ed è per questo che occorre continuare a informare costantemente. L’Osservatorio permetterà di comprendere a fondo le dinamiche che sono sottese alla discriminazione femminile, e che sono sostanzialmente di natura culturale. Ha ragione, in questi giorni si parla tanto di Claudia Goldin, e spesso a sproposito, dal momento che molti la citano come storica e non come economista. Il suo nobilissimo studio rischia tuttavia di essere travisato perché è focalizzato sulle serie storiche e per ragioni di sintesi Goldin ha dovuto creare una sorta di generalizzazione dei dati che ha livellato epoche e “storie” su un unico modello statistico. Quello che non emerge mai in queste riduzioni giornalistiche è che le condizioni di contesto sono fondamentali e giocano un ruolo importantissimo in diverse aree del pianeta. La Goldin ha potuto usufruire di serie storiche che riguardano il mondo occidentale, principalmente di influenza anglosassone, quindi legata all’etica protestante. È chiaro che ci sono differenze importanti da Paese a Paese, da cultura a cultura. E questo genere di generalizzazioni non tengono conto del fatto che in molte aree del mondo, anche molto vicino a noi, la percezione del denaro in mano alle donne ha valenze straordinariamente negative. Le discriminazioni sono dunque più forti e spesso assai difficili da valutare in maniera comparativa».

 

Parla dell’Italia?

«In molte zone del nostro Paese, indipendentemente dalla latitudine, si è inculcato nelle donne il concetto che il denaro non è cosa per loro. Se una donna possiede o gestisce risorse finanziarie è peccato o comunque è disdicevole. E nella migliore delle ipotesi non è fine che le donne siano interessate ai soldi. E questo è un sottile condizionamento culturale che parte dall’infanzia e percorre tutta la vita di una donna. Con l’Osservatorio vogliamo raccogliere e raccontare queste derive sociologiche e culturali che governano le dinamiche del lavoro per fare emergere l’approccio paternalistico che condiziona in profondità tutta l’economia italiana».

 

 

 

 

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