Un insieme complesso di credenze stereotipiche influenzano gli atteggiamenti delle donne in ambito finanziario limitandone pesantemente le scelte. Intervista a Claudia Manzi, docente di Psicologia Sociale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
di Alessandro Battaglia Parodi
I dati del primo Osservatorio italiano su donne e denaro mostrano drammaticamente come una donna su tre, oltre a non avere alcuna fonte di reddito, non si ritiene abbastanza competente in materia finanziaria, anche laddove abbia ricevuto un’educazione pari o superiore a quella dei colleghi uomini.
I dettagli della recente ricerca Donne e denaro: una sfida per l’inclusione promossa da Banca Widiba e realizzata dal dipartimento di Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, rivelano soprattutto una serie di credenze che coinvolgono direttamente le convinzioni delle donne, che molto spesso sembrano sabotatrici di se stesse.
Cerchiamo allora di fare il punto su quest’implacabile dinamica degli stereotipi di genere insieme alla responsabile del progetto di ricerca, Claudia Manzi, ordinaria di Psicologia Sociale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Quali sono i tratti salienti di queste credenze così dannose e castranti per la popolazione femminile?
«Occorre subito sottolineare che le credenze stereotipiche emerse da questa ricerca toccano un po’ tutti e riguardano sia le convinzioni degli uomini sia quelle delle donne. La nostra indagine è stata condotta tramite interviste, focus group e un questionario somministrato a un campione rappresentativo equamente diviso tra uomini e donne, e ha rilevato la presenza e anche la potenza di alcuni stereotipi che pesano sui comportamenti poco efficaci delle donne in ambito economico. Il dato più rilevante è che il gap di conoscenze finanziarie percepito dalle donne non deriva da una reale differenza di genere nell’“educazione economica” ricevuta in famiglia, quanto piuttosto dalle opportunità di acquisire queste conoscenze al di fuori dall’ambiente famigliare».
E questo dato non viene influenzato dal percorso di studi superiori?
«No, o meglio non esattamente. Tra le donne che hanno condotto percorsi di studi economici, solo la metà ha esperienza in investimenti finanziari a fronte di due terzi degli uomini con uguale ordine di studi. Le donne con studi di economia hanno quindi meno esperienza nelle varie forme di investimento rispetto agli uomini. Ciò dimostra che le donne, al di là degli studi fatti, sono più restie a investire in denaro e tendenzialmente cercano di evitare i rischi connessi a queste pratiche. E questo avviene anche in presenza di pari possibilità di guadagno. Si potrebbe infatti pensare che queste differenze siano legate alla quantità di denaro posseduto o guadagnato, ma ciò viene smentito dal fatto che la tendenza a investire è assai meno forte nelle donne rispetto a quanto dichiarato dagli uomini del campione, nonostante l’effettiva disponibilità di denaro. Questa tendenza a evitare le incognite e i rischi economici è peraltro già stata documentata ampiamente nella letteratura al riguardo».
Sembrerebbe quasi che il coinvolgimento delle donne nelle “cose” finanziarie comporti il superamento e l’infrazione di un tabù?
«Più che tabù, diciamo che si tratta di uno di quei complessi intrecci di convinzioni, abitudini e fattori educativi e culturali che coinvolgono le persone e le società nel profondo, e che convenzionalmente chiamiamo stereotipi sociali. E in questo caso possiamo parlare tra l’altro di stereotipo di genere. Si tratta di un sistema di credenze talmente radicate e interiorizzate da essere ogni volta rigenerate e rimesse in scena dalle stesse donne senza che quasi se ne rendano conto, proprio perché vengono trasmesse culturalmente in maniera silenziosa e incolpevole. A scuola, in famiglia, tra gli amici, queste nozioni, considerate per certi versi ovvie, entrano a far parte del sapere comune in maniera totalmente inconsapevole».
Che cosa differenzia il comportamento dell’uomo e della donna nel loro rapporto con il denaro?
«Per quanto riguarda la fattispecie di questa ricerca, è emerso piuttosto chiaramente che per le donne il denaro è strettamente intrecciato alla realizzazione di progetti di vita che riguardano soprattutto quella personale nell’ambito affettivo-relazionale, come ad esempio mettere su famiglia, acquistare una casa, fare studiare i figli e realizzare altri grandi progetti di questo genere. Cosa assai diversa dai progetti di vita degli uomini, nei quali il denaro viene inteso come lo strumento principe per acquisire prestigio, sicurezza e potere. In sostanza, le motivazioni che spingono uomini e donne verso il guadagno sono molto differenti e hanno origini culturali diverse. Storicamente e culturalmente le donne hanno il compito di occuparsi della gestione delle spese quotidiane della famiglia, mentre gli uomini della gestione dei grandi patrimoni e degli investimenti».
In che modo è possibile modificare questi sistemi di credenze?
«Nel caso specifico dell’educazione finanziaria, che è il focus di questa ricerca, l’obiettivo finale è quello di riuscire a realizzare azioni concrete per lo sviluppo di una nuova cultura inclusiva. Si può intervenire in diversi modi. Occorre tuttavia sottolineare che per modificare queste credenze occorre molto tempo. Si tratta di un lunghissimo processo in cui tutta la società deve essere coinvolta, soprattutto chi produce prodotti culturali. E la velocità della trasformazione può avere diverse velocità a seconda di quanto si intervenga a livello educativo e informativo. A breve termine è importante rendere consapevoli le donne degli effetti di questi stereotipi sui loro atteggiamenti e comportamenti. Molte ricerche dimostrano infatti che laddove le donne hanno un training o una formazione specifica e riescono a comprendere alcune delle implicazioni più dannose di questi stereotipi, gli effetti negativi diverranno minori e assai più controllati. L’altro aspetto è quello di fornire dei modelli positivi e controstereotipici a cui ispirarsi. E anche in questo caso l’effetto di queste credenze stereotipiche si attenuerà. Naturalmente noi abbiamo indagato soltanto l’ambito economico, ma le correlazioni con il mondo della cultura e quello dell’educazione femminile sono tantissime e, ripeto, quasi impercettibili. Il lavoro da fare è dunque lungo, complesso ma anche molto affascinante».