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Una Fabbrica del Vapore che produce cultura

Intervista ad Alessandro Bollo, nuovo project manager della Fabbrica del Vapore di Milano, che avrà il compito di accelerare il processo di empowerment e di crescita del grande spazio culturale e aggregativo milanese.

 

di Alessandro Battaglia Parodi

 

Alessandro Bollo ha da pochi mesi assunto il nuovo incarico di senior project manager alla Fabbrica del Vapore, il grande spazio culturale del Comune di Milano che ospita mostre e promuove la creatività giovanile, l’intrattenimento e l’aggregazione. Già direttore della torinese Fondazione Polo del ‘900, nonché socio fondatore, amministratore unico e responsabile di ricerca e consulenza della Fondazione Fitzcarraldo, Bollo è esperto in management e progettazione culturale e ha maturato importanti esperienze nell’ambito della pianificazione strategica, della programmazione pluriennale e della sostenibilità economica degli enti culturali. Alla guida dell’istituzione meneghina, avrà il compito di potenziare la funzione di incubatore di Fabbrica del Vapore per lanciare nuovi progetti a sostegno della creatività giovanile.

 

La storia delle Fabbrica del Vapore assomiglia, come storia e come riutilizzo finale, a quella delle officine Ogr di Torino. In entrambi i casi vi è stato il recupero di una vecchia struttura industriale che è diventata poi uno dei principali motori culturali e di aggregazione per la città.

«Il progetto delle Officine Grandi Riparazioni di Torino presenta, nel processo di genesi, elementi di somiglianza con quello di Fabbrica de Vapore, che era nato circa quindici anni prima da riuso della storica azienda Carminati Toselli, produttrice di rotabili tranviari e ferroviari. In entrambi i casi si è partiti dalla volontà di dare nuova vita e restituire al territorio complessi ex industriali in stato di degrado e di abbandono individuando nell’arte e nella creatività le vocazioni per il nuovo riuso. Sia Ogr sia Fabbrica del Vapore hanno deciso di utilizzare l’innovazione e la sperimentazione come cifra progettuale pur declinandola con modalità differenti. Pur essendo, inoltre, differente la governance (l’amministrazione cittadina nel caso di Milano, un ente strumentale della Fondazione Crt nel caso torinese, ndr.) entrambi i luoghi hanno cercato di connotarsi anche come hub, come ecosistemi in grado di abilitare processi di empowerment e di crescita a favore di realtà differenziate».

 

Nel caso di Fabbrica del Vapore qual è la sfida culturale?

«Per la Fabbrica del Vapore la scommessa è quella di rafforzare ulteriormente la funzione di cerniera tra la filiera dei soggetti che operano nell’ambito artistico e creativo e i giovani professionisti e le realtà emergenti che aspirano a diventare i changemaker culturali del prossimo decennio».

 

Quali saranno le iniziative e i progetti in grado di rilanciare la Fabbrica del Vapore attirando il grande pubblico?

«Per i prossimi mesi sono in programmazione importanti mostre come quelle di ZeroCalcare e Sebastião Salgado progettate per portare attenzione e pubblico alla Fabbrica del Vapore. In realtà si sta lavorando a un piano più ambizioso di ripensamento del centro culturale, promosso dall’attuale amministrazione comunale, che riguarderà la sua identità complessiva, il sistema di offerta e il modello di governance e gestione».

 

Le risorse del Pnrr dovrebbero riuscire ad accelerare il processo di maturazione delle competenze manageriale in ambito culturale. Riusciranno a innescare il cambiamento?

«In ambito culturale si aprirà per il nostro Paese una finestra di opportunità straordinaria. Penso, tra gli altri, al Piano Nazionale Digitale, all’industria culturale 4.0, agli interventi volti a migliorare le performance energetiche e a rimuovere le barriere all’accesso e ai tanti interventi volti a rigenerare i piccoli siti culturali e i piccoli centri diffusi su tutto il territorio nazionale. Questi investimenti andranno a rinforzare l’“hardware” del sistema di offerta culturale nazionale. Per produrre davvero impatto, questo hardware avrà bisogno di “sistemi operativi” e di “software” aggiornati e adeguati. Detto altrimenti sarà fondamentale investire sulle competenze e sulle skills necessarie per affrontare e agire il cambiamento, anziché subirlo. A titolo di esempio segnalo che da una recente ricerca sul rapporto tra musei e digitale emerge come il 44% di queste istituzioni non abbia alcuna risorsa umana dedicata al digitale e che solo il 24% abbia un approccio strategico a questi temi. Sarà molto importante capire come i fondi del Pnrr e soprattutto quelli strutturali europei del nuovo settennato, e quindi penso agli Fse, possano essere efficacemente investiti per lavorare sulle competenze e sul capacity building di settore».

 

Come esperto di management culturale, come giudica le difficoltà dell’approccio italiano a “fare business”? Non crede ci sia una resistenza alla managerialità?

«Esiste, tradizionalmente, una certa ritrosia del settore culturale ad abbracciare un approccio spiccatamente manageriale per una molteplicità di fattori che adesso è qui difficile sintetizzare. La cosa importante è rilevare un cambio di passo negli ultimi anni. Molte istituzioni culturali sono state, infatti, sollecitate da fattori di natura “esterna” a ricercare una maggiore efficacia nel rapporto tra investimenti e impatti prodotti e una maggiore accountability nei processi di gestione delle risorse e di misurazione dei risultati. Sempre di più si parla di sostenibilità integrata che richiede un approccio più maturo al tema dei modelli di business, maggiori competenze di marketing, fundraising e progettazione e la capacità di dimostrare la produzione “multidimensionale di impatti” sul territorio, siano essi economici, sociali, culturali o ambientali, in relazione a una costellazione molto ampia di stakeholder che vede nella cultura un importante fattore di crescita e coesione».

 

E qual è secondo lei il fattore esterno più interessante per l’innesco di queste dinamiche?

«Credo che nei prossimi anni sarà interessante vedere come e se il digitale potrà rappresentare un’ulteriore dimensione di produzione di valore per le imprese culturali e artistiche, aprendo grandi opportunità per l’innovazione di prodotto e di processo, ma aumentando ulteriormente il fabbisogno di nuove e più specifiche competenze».

 

 

 

 

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