Il primo servizio di emergenza e di aiuto telefonico nasce negli anni Sessanta con il nome di Telefono Amico Italia con l’intento di dare a chiunque si trovi in stato di crisi o emergenza emozionale, in qualunque momento, la possibilità di trovare un volontario aperto all’ascolto e al dialogo. Abbiamo chiesto alla presidente Monica Petra Come è cambiato negli anni il servizio e come l’associazione riesce oggi a operare.
di Roberta Morosini
Telefono Amico conta venti centri di ascolto ubicati in tutta Italia ed è telefonicamente raggiungibile da chiunque senta il bisogno di un supporto emotivo, 24 ore su 24, quindi parliamo di numeri sostanziosi. Su quanti volontari può contare?
«Complessivamente abbiamo circa 500 volontari che operano nei nostri centri e si alternano nella risposta ai nostri tre servizi, telefono, chat ed e-mail. Ogni anno le nostre sedi organizzano, solitamente in autunno, corsi di formazione per accogliere nuovi volontari».
Durante la pandemia avete avuto un incremento di contatti?
«Sì, nel corso del 2020 abbiamo ricevuto complessivamente poco meno di 100 mila contatti, con un aumento delle relazioni d’aiuto di circa il 70% rispetto all’anno precedente. L’incremento è avvenuto soprattutto a partire dal mese di aprile ed è proseguito nel corso dei mesi successivi. Ancora oggi registriamo numeri di contatti elevati, anche per questo siamo alla costante ricerca di nuovi volontari che possano aiutarci a gestire le tante richieste che riceviamo».
Quali sono, oggi, i maggiori disagi riscontrati nelle persone che si rivolgono a Telefono Amico?
«Il motivo più frequente per il quale le persone ci chiamano è la solitudine, seguito dalle problematiche di relazione. Ci sono delle differenze legate soprattutto all’età. Nel corso dell’ultimo anno abbiamo assistito a una crescita sensibile di richieste da parte di giovani e giovanissimi che raccontano disagi talvolta acuti, fenomeni di autolesionismo o disturbi alimentari. Molto spesso, emergono anche il tema della difficoltà di prospettiva rispetto al proprio futuro o quello del disagio psicologico».
In che modo l’associazione reperisce i fondi per sostenere le proprie attività?
«La fonte principale viene dall’autofinanziamento e dal contributo anche economico dei volontari. Da un paio d’anni abbiamo cominciato a raccogliere fondi attraverso campagne di crowdfunding per progetti specifici, ne abbiamo realizzate due con Rete del Dono per finanziare l’acquisto di una infrastruttura, e lo scorso Natale abbiamo realizzato un’asta con il contributo di musicisti, artisti e personaggi dello spettacolo per sostenere le nostre attività».
Avete sostegno e attenzione da parte delle istituzioni?
«Facciamo fatica a dialogare con le istituzioni a livello nazionale. Solitamente le singole sedi territoriali hanno rapporti con gli enti locali di supporto e cooperazione ma a livello di rete nazionale è più difficile trovare interlocutori».
Telefono Amico Italia è membro effettivo di Ifotes, l’International federation of telephone emergency service. Che cosa significa far parte di un network internazionale?
«Collaborare con le altre help-lines europee ci consente di confrontarci e crescere. Il rischio per un’associazione che ha la nostra storia e opera da oltre cinquant’anni è chiudersi nelle proprie competenze e certezze. Lo scambio con altre federazioni e la partecipazione ai progetti comuni ci consente invece di verificare costantemente e rendere attuali strategie e strumenti del nostro intervento, e costituisce contemporaneamente uno stimolo a migliorare e ricercare tutti i canali attraverso i quali realizzare la nostra mission, che è dare ascolto al disagio di tutti e di ciascuno».