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Scongiurare subito l’ondata di licenziamenti

La proroga al blocco dei licenziamenti è finalmente arrivata. Ma se non si organizza subito qualcosa, alla crisi sanitaria e a quella economica si aggiungerà presto un esplosivo problema sociale.

di Alessandro Battaglia Parodi

«Quello dei licenziamenti è un dramma solo rimandato che sta aspettando al varco tutto il mondo della politica italiana, con gravi ripercussioni sulla tenuta sociale del Paese». Marco Bentivogli, già segretario dei metalmeccanici della Cisl e fondatore di Base Italia, l’associazione da lui creata insieme al filosofo Luciano Floridi, non nasconde le preoccupazioni e ci offre la sua visione delle cose. È necessario stimolare una crescita virtuosa partendo da un impiego corretto del Recovery Plan. E in questi pochi mesi che ci separano dalle scadenze di giugno e ottobre, quando migliaia e migliaia di lavoratori saranno lasciati a casa, le parti sociali dovranno costruire insieme iniziative propulsive eccezionali, del tutto inimmaginabili fino a poco tempo fa.


La proroga è arrivata, ma i problemi sociali restano tutti sul tavolo, sospesi fino al 30 giugno. Nel frattempo che cosa si può fare o costruire in questo breve interregno di tre mesi?

«Il blocco dei licenziamenti e la cassa integrazione Covid hanno svolto una funzione molto importante per contenere la perdita di posti di lavoro nella pandemia. Ma, dopo un anno, una loro proroga indiscriminata rischierebbe di produrre più danni che benefici. Il semplice rinvio aumenterà infatti l’impatto della sua rimozione. Qualche giorno fa su Repubblica con Lucia Valente e Pietro Ichino abbiamo tracciato delle possibili piste per difendere il lavoro. Prima di tutto abbiamo spiegato che per le aziende che hanno davanti una chiusura irreversibile il blocco ha poco senso poiché determina solo un allontanamento progressivo dal mercato del lavoro. Sarebbe più utile, in questi casi, consentire la cessazione dei rapporti di lavoro, riattivare gli assegni di ricollocazione, aumentare entità e durata del trattamento di disoccupazione. Ad esempio alzando i tetti attuali della Naspi, ossia l’indennità mensile di disoccupazione, e della Dis-Coll, cioè la prestazione a sostegno dei collaboratori coordinati e continuativi. Servono inoltre percorsi di reskilling dei lavoratori che tengano conto delle competenze più richieste sul mercato. In assenza di requisiti per la cassa integrazione, procedure quali la cassa Covid o il blocco dei licenziamenti hanno un senso per le aziende in difficoltà temporanea in una prospettiva di recupero concertata tra imprese, sindacato e autorità pubblica».


I dati sul lavoro sono intanto più che allarmanti: tra incentivi all’esodo e licenziamenti camuffati come consensuali, le imprese si stanno alleggerendo di personale a tempo indeterminato dopo essersi liberate dei contratti a termine. Insomma, il blocco c’è, ma si continua a licenziare in maniera massiccia con tanti trucchetti. Il dato più clamoroso è quello delle dimissioni che, ad esempio a Milano, rappresentano quasi il 60% del totale delle cessazioni. Che cosa sta succedendo?

«In una situazione di incertezza come quella in cui ci troviamo la drastica limitazione delle possibilità di assunzione a termine e in somministrazione ha penalizzato i livelli di occupazione e aumentato il fenomeno delle assunzioni a rotazione negli stessi posti di lavoro. La verità è che all’inizio del 2021 il mondo del lavoro presenta più ombre che luci e i dati più drammatici riguardano le donne e i giovani, con 2 milioni di Neet (Not in education, employment or training, persona che non ha né cerca un impiego e non frequenta né una scuola né un corso di aggiornamento professionale, ndr), e quasi una donna su due inoccupata. Le persone messe in difficoltà dalla pandemia secondo il Cnel sono 12 milioni tra dipendenti e autonomi. I più colpiti, i settori ad alta intensità relazionale come il turismo, la ristorazione, il terziario in generale. Quello che sta accadendo è che le vicende del mercato del lavoro sono state dominate non dal tema della parità di genere o dall’inserimento dei giovani bensì dalla protezione dal contagio e dalla continuità del reddito».


Una volta rimosso il blocco di fine giugno e di ottobre ci troveremo di fronte a un’ondata di licenziamenti. Ci sarà una deriva sociale drammatica?

«Sì, abbiamo perso 444mila posti di lavoro nonostante il blocco dei licenziamenti e quando finirà ci troveremo davanti a un’ecatombe. Bisogna assolutamente evitare questa “deflagrazione” appunto agendo secondo la situazione. Non solo differenziando le aziende in crisi temporanea da quelle costrette a chiudere, ma anche connettendo Inps e Anpal. La prima, infatti, eroga gli ammortizzatori sociali, la seconda dovrebbe promuovere le politiche attive del lavoro facendo incontrare domanda e offerta. La connessione operativa tra i due organismi consentirebbe di attivare gli incentivi giusti per ottenere la massima efficacia, un controllo e un monitoraggio della partecipazione delle persone davvero interessate e anche della spesa per il sostegno del loro reddito».


Il Pnrr sembra piuttosto deficitario rispetto alle politiche del lavoro o è solo una sensazione? Lei che ne pensa?

«È vero. Il Governo non può trascurare la necessità immediata di migliorare il Piano. In parte già è stato fatto rispetto alle prime bozze circolate, ma restano molti nodi. La finalità dell’intero programma è rilanciare, non ripristinare, l’Italia: non per niente lo strumento individuato si chiama “facility” e stabilisce obiettivi sulla base di progetti (che vengono valutati) ed eroga soldi solo se gli obiettivi sono raggiunti. È vero che l’espressione “manca una visione strategica” is the new “manca il progetto politico”, ma il problema è che manca davvero. Vanno indicate le azioni ma anche gli obiettivi devono essere ben chiari».

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