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Revisione Pnrr: molte misure dovranno essere riprogrammate

La revisione del Pnrr concentra le risorse e penalizza la programmazione territoriale diffusa. Con grave disappunto dei Comuni. Vediamo perché.

di Ciro Iacovelli

 

Il 27 luglio scorso il Governo ha presentato la bozza per la diramazione, in vista della discussione parlamentare fissata il primo agosto, della revisione del Pnrr e dell’adozione dello strumento RePowerEu. Entrambe le necessità, come specificato nel corposo documento oggetto di confronto e di approvazione della Commissione Europea, sono state determinate dalle mutate condizioni geopolitiche e internazionali generate dal conflitto in Ucraina e dalla successiva e conseguente crisi energetica e pressione inflazionistica.

Ovviamente la necessità di aggiornamento non riguarda solo l’Italia, ma scelte del Governo erano particolarmente attese, in quanto il Pnrr italiano rappresenta il piano nazionale più corposo, sia in termini di risorse che di riforme attese, di Next Generation Eu. Le risorse disponibili sono estese in virtù del programma RePowerEu, nato dalla necessità di rendere progressivamente l’Unione Europea indipendente dalla fornitura di fonti energetiche fossili dalla Russia. Per l’Italia, la quota parte di queste risorse sono pari a 2,76 miliardi di euro, da destinare alla diversificazione degli approvvigionamenti energetici e all’integrazione delle fonti rinnovabili, con la possibilità di indicare tanto il rafforzamento di misure già contenute nel Pnrr, quanto l’individuazione di nuovi progetti. A ciò la Commissione Europea ha aggiunto, nell’integrazione dei piani nazionali con RePowerEu, la facoltà apportare modifiche agli stessi piani. Tali modifiche possono riguardare le difficoltà riscontrate da talune misure in fase di esecuzione, l’aumento dei prezzi delle materie prime o la difficoltà riscontrata nella catena di approvvigionamento. Fattispecie non prevedibili in fase di redazione dei piani e comunque in assoluta coerenza con le missioni previste da Next Generation Eu. Vi sono state, inoltre, alcune raccomandazioni specifiche all’Italia che riguardano in particolare il rafforzamento della capacità amministrativa, evidentemente valutata fin qui insufficiente, e la capacità di rendere coerente l’uso combinato delle risorse Pnrr con le altre risorse previste dalla Politica di Coesione.

Le principali novità

Sul fronte infrastrutture, le modifiche riguardano principalmente quelle ferroviarie. I tempi di esecuzione avrebbero imposto un lungo elenco di rimodulazioni delle risorse, nell’impossibilità di eseguire i lavori entro il 2026, a partire dalla Napoli–Bari. Lavori che sarebbero confermati, ma riservando all’uopo altri capitoli di spesa. Il Governo ha inteso estendere il RePowerEu definanziando una serie di progetti previsti dalla prima stesura del Pnrr. La cifra complessiva di definanziamento è pari a 15,8 miliardi di euro, mentre il capitolo RePowerEu assorbirà risorse per 19,2 miliardi di euro. Le misure sono varie e riguarderanno tre ambiti di applicazione per investimenti e un ambito riforme di sistema.

Tra gli investimenti previsti sono da annoverare certamente quelli che riguardano le reti di approvvigionamento di gas ed energia elettrica, con un investimento pari a 2,3 miliardi di euro, e relativi ad interventi alle Smart Grids – reti elettriche intelligenti – capaci di gestire razionalmente i grandi flussi e stress energetici, cui innanzitutto i grandi centri urbani e le grandi aree industriali sono sottoposte. Si prevedono inoltre risorse per Tyrrhenian Link – est (il doppio collegamento sottomarino tra Sicilia, Sardegna e penisola) e per la Linea Adriatica 1 (gasdotto Sestino-Minerbio).

Il secondo capitolo riguarda la transizione verde, con investimenti pari a 14,7 miliardi di euro, che è quello che risulta evidentemente più corposo, e contiene interventi significativi per le imprese che necessitano di ammodernare la propria produzione e il consumo di energia. È previsto (4 miliardi di euro) il Piano transizione green 5.0, evoluzione dell’attuale Piano Transizione 4.0, finanziato per i periodi d’imposta 2020-2022, che mira alla realizzazione di nuovi impianti, nonché all’ampliamento di impianti già esistenti, per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Ulteriore misura a favore delle imprese è il credito d’imposta a sostegno dell’autoconsumo di energie rinnovabili (1,5 miliardi di euro). Per l’edilizia pubblica e privata sono allocate risorse per 7,6 miliardi di euro complessivi, distinti per progetti di efficientamento energetico degli edifici pubblici (3,6 miliardi) e ecobonus per immobili privati (4 miliardi) sulla scia di quanto già sperimentato con il cd. superbonus, da cui differirebbe in quanto rivolto esclusivamente alle famiglie sulla soglia di povertà e ai giovani, nell’ottica di produzione e consumo di energia pulita e a basso costo. Infine, una misura che sarà attuata attraverso i Contratti di Sviluppo, a supporto alla transizione ecologica del sistema produttivo e alle filiere strategiche per le net zero technologies, e che è del valore di 2 miliardi di euro.

Le misure che non saranno più finanziate dal Pnrr

Non mancheranno di suscitare polemiche, invece, le misure previste dal “vecchio” piano e che sono state sottratte dalla disponibilità di risorse del Pnrr. Solo una parte marginale, non ancora evidente, di tali misure saranno riassorbite da RePowerEu. Per lo più riguardano misure in capo ai Comuni, che erano già in fasi di programmazione e il cui esito rimane, al momento, incerto: 6 miliardi per la valorizzazione e l’efficientamento energetico dei Comuni; 3,3 miliardi per la rigenerazione urbana; 2,49 miliardi per i piani urbani integrati; 1,28 miliardi per la riduzione del rischio idrogeologico; 1 miliardo per l’utilizzo dell’idrogeno nei settori hard to abate; 725 milioni di euro per le aree interne; 675 milioni per promozione di impianti energetici innovativi; 300 milioni di euro per la valorizzazione dei beni confiscati alle mafie; 110 milioni di euro per la tutela del verde urbano. Nella bozza proposta si assicura il recupero di queste progettualità, senza però che vengano indicati con precisioni modalità, tempi, risorse disponibili. L’impressione generale è che la revisione del piano sia stata indirizzata nella concentrazione di risorse per misure già sperimentate (vedi ecobonus o credito d’imposta), a danno della diffusa programmazione da parte di Comuni e Pmi. Bisogna rilevare che il monitoraggio della spesa fino ad oggi effettuato non giustificherebbe tale penalizzazione, ma appare evidente la decisione di puntare su misure dalla rapida efficacia anziché sulla capacità di programmazione territoriale diffusa, con un ulteriore rischio concreto per il Mezzogiorno, che è quello di vedersi assottigliare le risorse della coesione, a partire dal Fondo Sociale di Coesione che, vale la pena ricordare, sono risorse aggiuntive dedicate in particolare alla riduzione del divario territoriale.

 

 

 

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