Skip to content Skip to footer

Pubblico e privato insieme per la Reggia di Caserta

Tiziana Maffei

Lanciato a fine luglio 2022, il progetto Semi è un percorso di recupero artistico, culturale e produttivo che coinvolge operatori con competenze diverse, dalle aziende vivaistiche a quelle che lavorano nel settore della cultura. Ne parliamo con il direttore della Reggia di Caserta, Tiziana Maffei.

 

di Biagio Picardi

 

Favorire la sostenibilità gestionale della Reggia di Caserta grazie a un partenariato tra pubblico e privato lungo nove anni. È questo l’obiettivo del progetto Semi – Sviluppo e meraviglia d’Impresa, percorso di rinnovamento della storica residenza reale voluta dai Borbone nel 1752 pensando a Versailles e completata quasi cent’anni dopo, nel 1845. E desiderosa, oggi, di tornare a splendere più che mai, sfruttando anche la sua anima commerciale e valorizzando al meglio le opportunità offerte dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Come ci spiega il direttore Tiziana Maffei, architetto, docente, ex presidente di Icom Italia e dal 2019 messa a capo della Reggia dal ministero dei Beni Culturali.

 

Com’è nato il progetto Semi?

«È nato dall’analisi di quello che è la Reggia di Caserta: un grande sogno di prestigio dei Borbone fondato però su una visione di autonoma sostenibilità e su un sistema di produzione che permetteva ad esempio di vendere il surplus delle piante coltivate nelle serre o anche i pesci allevati nella peschiera. E dalla riflessione che oggi il patrimonio culturale non può non considerare una gestione con il privato. Una gestione certo sapiente e rappresentativa della sua storia, ma che può essere una grande opportunità di sviluppo territoriale».

 

Il primo bando riguarda le serre borboniche, nel cuore del grande Giardino Inglese della Reggia.

«Sì, lanciato a fine luglio 2022, è un progetto interdisciplinare di recupero storico-artistico, culturale e produttivo che coinvolgerà operatori con competenze diverse, dalle aziende vivaistiche a quelle che lavorano nel settore della cultura. Vogliamo restituire a questi luoghi la loro funzione e identità originaria, ripristinandone il carattere produttivo. Basti pensare che qui esisteva un catalogo di vendita delle piante dell’Ottocento e che si potevano vendere soltanto quegli esemplari. Al bando hanno risposto due grandi gruppi, attualmente al vaglio di una commissione di specialisti».

 

Avete colto le opportunità offerte dall’articolo 151 del Codice dei Contratti Pubblici, “Sponsorizzazioni e forme speciali di partenariato”.

«Abbiamo cercato di allinearci a una normativa comunque innovativa che, pur essendo del 2016, finora è stata poco sperimentata. L’articolo 151 è estremamente importante per la gestione del patrimonio culturale, anche per una struttura complessa come la Reggia perché i Borbone hanno sempre avuto nel Dna la visione produttiva della realtà».

 

Una realtà, quindi, che deve produrre.

«Una realtà che possa essere a sostegno di una visione produttiva. Pensare al patrimonio culturale come finalizzato soltanto al turismo credo sia riduttivo. Aver dato ad esempio le nostre arance, che per noi sono un costo, a una cooperativa del Terzo settore per realizzare “La Marmellata della Regine” è un’occasione di produttività e vuol dire considerare tutto il complesso della Reggia come una risorsa per sviluppare forme di economia del territorio. Che possono riguardare anche servizi come il noleggio delle biciclette oltre che prodotti».

 

Vi siete rifatti a progetti simili?

«Ci siamo ispirati a quello che ci suggeriva la normativa. Abbiamo anche fatto indagini a livello nazionale e internazionale e all’inizio non abbiamo trovato altre esperienze di partenariato come da articolo 151, ma piuttosto di privati che prendevano in gestione il bene senza una visione commerciale. Questa strada però la stanno prendendo e l’hanno poi presa anche altri direttori, penso ad esempio all’esperienza di Sibari, in Calabria, o ai Campi Flegrei».

 

Come si fa ad attirare soggetti privati in un progetto che sembra soprattutto culturale?

«Proprio seguendo le indicazioni dell’articolo 151 e poi dando fiducia a questi privati, spesso considerati non come possibili protagonisti di una cooperazione sapiente ma piuttosto di una negativa privatizzazione del patrimonio culturale. E invece nella storia d’Italia ci sono esperienze di aziende che hanno investito con successo in una dimensione socioeconomica, ad esempio pensiamo a Ivrea-Olivetti. È un percorso certamente complesso e sono curiosa di vedere come il partenariato si svilupperà nei suoi nove anni di durata, ma sono anche certa che questa sia una sfida molto importante».

 

Crede che le aziende italiane, in generale, siano davvero interessate a investire nel business storico-culturale?

«Sì a un business produttivo di qualità culturale. Perché le aziende sono interessate alla produzione, che però dev’essere in questo caso avvicinata a un marchio di qualità che poi è quello caratteristico del made in Italy. Il segreto, lo ripeto, secondo me è nel dare fiducia alle imprese e fare in modo che queste a loro volta confidino nell’amministrazione, spesso purtroppo lontana dai tempi reali della società, mentre per il privato il rispetto delle tempistiche è fondamentale per far tornare i conti».

 

Il fattore tempo, insomma, è fondamentale per un buon partenariato pubblico-privato.

«Certo. E nel progetto delle serre ancora di più perché il seme puoi magari anche pomparlo di cose finte ma ha sempre la sua vita naturale. Inoltre il grande investimento che il Pnrr ha fatto sui parchi e sui giardini storici si lega anche a una visione complessiva di rinnovo dell’impresa con una certa attenzione al patrimonio vegetale».

 

Spesso però si associano le parole “privato” e “impresa” a un concetto di commercio che pare in conflitto con quell’altro di patrimonio culturale.

«È vero, ci sono imprese che vivono soltanto sulle bolle, ma non credo esistano esclusivamente imprenditori irresponsabili. Parliamo poi di un partenariato di nove anni e quando i tempi si allungano in questo modo anche il privato ha interesse a seguirlo e a utilizzare metodi e materiali migliori. In un progetto di due-tre anni l’azienda può prendere soltanto, ma in una collaborazione di lunga durata, che magari prevede una manutenzione pluriennale, è improbabile che corra il rischio di dover poi investire nuove risorse per un lavoro fatto male».

 

Eppure Semi è fondamentalmente un progetto di riqualificazione. Vuol dire che finora alla Reggia non si è dedicato l’interesse che merita?

«Dobbiamo pensare che siamo al Sud, che l’amministrazione pubblica ha tempi molto lunghi, che non ci sono tante imprese abituate a fare partenariato e che l’articolo 151 prevede un percorso non facile per tutte le ragioni di cui abbiamo parlato finora».

 

Non a caso, presentando il progetto, lei ha parlato di “responsabilità”.

«Perché credo che questa sia un obbligo etico di chiunque viva nella società. La sostenibilità è un tema di responsabilità verso il futuro e non è detto che da questo punto di vista il privato sia meno responsabile del pubblico. Quando si parla di privatizzazione la vera questione è il controllo che la pubblica amministrazione ha sulle proprie scelte e strategie. Nel momento in cui dà il suo bene in concessione o in partenariato, dev’essere ancora più responsabile perché sta per affrontare un percorso comune e quindi deve vigilare in un’ottica di collaborazione, non moralista o peggio ancora carica di pregiudizi».

 

Responsabilità è anche “difendere” un brand importante come quello, straordinario, rappresentato dalla Reggia e dalla sua storia…

«Sicuramente la Reggia di Caserta deve valorizzare il proprio brand, un marchio che pochi luoghi in Italia possono vantare per storia, complessità e per quello che rappresenta nell’immaginario collettivo nazionale e internazionale. Il 151 però rappresenta un’opportunità importante che, con tutte le attenzioni del caso, tutto il patrimonio italiano merita di sfruttare a pieno».

 

 

 

 

 

 

 

SCOPRI ALTRI ARTICOLI IN EVIDENZA

Nuovi orizzonti

Road to Social Change
Inizia la formazione dei Social change manager
È partito Road to Social Change, il percorso di formazione per avviare e gestire processi trasformativi in partnership con attori…
Delivery di prossimità
Il grande successo del delivery di prossimità
Sono sempre più numerosi i negozi di vicinato che utilizzano con soddisfazione i servizi di delivery locale, diffondendo un nuovo…
Dal vino al marketing polisensoriale
Ci sono esempi quotidiani di innovazione nel servizio che è giusto documentare per riuscire ad ampliare le opportunità di business…

“La nostra mission consiste nel dotare i lettori di un magazine in grado di decifrare il vasto mondo della gestione d’impresa grazie a contenuti d’eccezione e alla collaborazione con enti pubblici e privati.”

“La nostra mission consiste nel dotare i lettori di un magazine in grado di decifrare il vasto mondo della gestione d’impresa grazie a contenuti d’eccezione e alla collaborazione con enti pubblici e privati.”

Resta aggiornato. Iscriviti alla Newsletter Acta.

Versione digitale della testata cartacea Acta Non Verba, registrata presso il Tribunale di Napoli n. 2815/2020 del 23/6/2020.
Direttore responsabile: Mariano Iadanza – Direttore editoriale: Errico Formichella – Sede legale: Viale Antonio Gramsci 13 – 80100 Napoli

ActaNonVerba ©2024 – Tutti i diritti riservati – Developed by Indigo Industries

ActaNonVerba ©2024
Tutti i diritti riservati
Developed by Indigo Industries

Sign Up to Our Newsletter

Be the first to know the latest updates

Whoops, you're not connected to Mailchimp. You need to enter a valid Mailchimp API key.

Iscriviti per ricevere maggiori informazioni

Completa il captcha

Risolvi questo smplice problema: