Nuove opportunità di finanziamento per gli enti del Terzo settore che potranno sostenersi anche tramite attività commerciali diverse da quelle di interesse generale.
di Marianna Iacoviello
Entra in vigore oggi il decreto n.107 del Ministero del Lavoro riguardante l’individuazione di criteri e limiti delle cosiddette “attività diverse” esercitabili dagli enti del Terzo settore. Dopo una lunga attesa e un iter legislativo travagliato, il provvedimento è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 26 luglio dando così attuazione all’art. 6 del D.Lgs. 117/2017 Codice del Terzo Settore (Cts) e confermando il superamento del concetto di totale assenza di lucro dalle attività svolte.
La norma è particolarmente significativa in quanto estende alle organizzazioni del Terzo settore la possibilità di vendere beni e servizi che non sono strettamente correlati alla propria mission. Le condizioni erano già state definite dall’art.6 del Cts che aveva previsto lo svolgimento di attività secondarie e strumentali rispetto a quelle di interesse generale solo se espressamente consentito da atto costitutivo e statuto. A tal proposito la Circolare n. 20/2018 del Ministero del Lavoro ha già chiarito che è sufficiente indicare la possibilità di approvarle e non è necessaria l’elencazione puntuale delle stesse.
I concetti di secondarietà e strumentalità secondo il decreto
La natura secondaria delle attività sussiste nel momento in cui si verifichino alternativamente due condizioni: la prima è che i relativi ricavi non siano superiori al 30% delle entrate complessive; la seconda è che i ricavi non siano superiori al 66% dei costi complessivi.
Occorre ricordare che, secondo l’art.3 comma 3, sono tre le fattispecie che rientrano tra i “costi complessivi” dell’ente: innanzitutto i costi figurativi relativi all’impiego di volontari non occasionali (iscritti nel registro dei volontari), calcolati applicando alle ore di attività di volontariato effettivamente prestate la retribuzione oraria lorda prevista dai corrispondenti Ccnl. Ci sono poi le erogazioni gratuite di denaro e le cessioni o erogazioni gratuite di beni o servizi, per il loro valore normale. E infine troviamo la differenza tra il valore normale dei beni o servizi acquistati ai fini dello svolgimento dell’attività statutaria e il loro costo effettivo di acquisto.
Non vengono invece dettagliate le “entrate” complessive deducendo quindi l’imputazione di qualsiasi provento, ricavo o rendita conseguita.
L’organo amministrativo dell’Ets è tenuto a indicare il parametro scelto nel bilancio di missione, con annotazione in calce al rendiconto per cassa o nella nota integrativa del bilancio.
Qualora i limiti previsti venissero superati, l’ente dovrà comunicare all’ufficio territoriale del Runts, il Registro unico nazionale del Terzo settore, il superamento di tale soglia entro 30 giorni dalla data di approvazione del bilancio. In tal caso l’anno successivo la percentuale applicata dovrà essere ridotta della parte oggetto di superamento. Quindi se nell’anno di riferimento i proventi da attività diverse sono il 40% delle entrate complessive, l’anno successivo la percentuale di riferimento non sarà più il 30% ma il 20%. A seguito di omissioni e irregolarità il Runts potrebbe disporre la perdita della qualifica di Ets con la cancellazione dal Registro medesimo.
Dall’art. 2 del decreto ministeriale si legge invece che le attività sono strumentali rispetto a quelle di interesse generale quando “indipendentemente dal loro oggetto, sono esercitate dall’ente del Terzo settore, per la realizzazione, in via esclusiva, delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale perseguite dall’ente medesimo”. Questo implica che l’oggetto deve essere ben differente ma il legislatore non stabilisce definizioni qualitative, quindi sono “diverse” in quanto per esclusione non rientrano nella raccolta fondi e nelle attività tipiche già definite all’art. 5 del Cts. Volendo semplificare tale disposizione, se un’attività di assistenza sociale viene svolta in maniera commerciale, non può essere considerata diversa mentre potrebbe esserlo uno shop di prodotti tipici all’interno dell’ente.
Luci ed ombre sugli effetti reali del decreto
Attualmente però il quadro normativo è molto incerto e, a causa dell’andamento lento della Riforma, resta irrisolto il nodo in ambito fiscale. Infatti l’entrata in vigore di gran parte del Titolo X del Cts avverrà dal 1° gennaio 2022 e solo a seguito dell’operatività del Runts e dell’autorizzazione da parte della Commissione Europea. Si presuppone quindi che la messa a regime di tale decreto potrebbe arrivare solo alla chiusura del bilancio 2022.
Sicuramente le Associazioni di promozione sociale sono più avvantaggiate nell’operatività immediata in quanto, anche se in modalità diverse, hanno sempre potuto svolgere attività commerciali. Anche le Organizzazioni di volontariato non hanno particolari ostacoli vista l’abrogazione della L. 266/91 che elencava dettagliatamente le tipologie di entrate possibili. Necessitano invece di riflessioni giuridiche maggiori le Onlus poiché il D.Lgs. 460/97 ancora non è stato abrogato. È comunque sempre possibile far riferimento al regime fiscale degli enti non commerciali, come previsto e disciplinato dagli artt. da 143 a 149 del Tuir.
Altra importante considerazione è che la scelta della tipologia di attività da promuovere e avviare va valutata attentamente visto che la natura commerciale, e la conseguente attività d’impresa, implicano una contabilità separata e il pagamento delle relative imposte. Nonostante ciò, possiamo comunque affermare che stiamo assistendo all’introduzione di elementi innovativi che, se perfezionati nel lungo periodo e affiancati agli strumenti di fundraising, potrebbero dare uno slancio positivo a nuove realtà incoraggiando la crescita del settore e l’acquisizione di nuove professionalità.