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Mobilità sostenibile: un percorso tutto in salita

In Italia la mobilità sostenibile è un tema estremamente divisivo che non riesce a trovare unanimità di intenti, nonostante sia in cima agli obiettivi della Commissione europea e possa disporre di importanti risorse del Pnrr.

 

di Alessandro Battaglia Parodi

 

È passato esattamente un anno dal giorno in cui il Parlamento europeo votò una storica risoluzione per una strategia dedicata alla mobilità ciclabile. Eppure da quel 16 febbraio 2023 nel nostro Paese si fatica ancora a trovare una via congrua e condivisa per l’avvio di un programma di mobilità sostenibile che discenda proprio dall’uso massiccio della bicicletta. Non che la mobilità sostenibile dipenda soltanto da questo elemento, ma il tema della ciclabilità rappresenta un tassello molto importante nel governo complessivo della viabilità urbana, soprattutto nelle grandi città. E con quell’importante risoluzione l’Ue ha ritenuto che la mobilità ciclabile debba essere riconosciuta come una modalità di trasporto a pieno titolo. Per questo ha chiesto alla Commissione europea di elaborare una strategia specifica che permetta di raddoppiare il numero di chilometri percorsi in bicicletta in Europa entro il 2030, invitandola a incoraggiare l’intermodalità tra i vari mezzi di spostamento e, al contempo, a garantire la raccolta di dati sulla mobilità ciclabile, compresi i dati industriali.

Una bella favola su due ruote

Il tutto deriva dalla convinzione che l’uso della bicicletta porti molti vantaggi, tra cui una migliore salute, una riduzione del traffico stradale e dell’inquinamento acustico, una migliore qualità dell’aria, una crescita economica e grandissimi benefici ambientali e sociali. Non solo, il Parlamento ha considerato che la bicicletta rappresenta un mezzo di trasporto relativamente poco costoso, a portata della maggior parte dei cittadini e in grado di promuovere un’economia sostenibile andando anche incontro alle esigenze delle grandi città, soffocate dal traffico e dalla mancanza di parcheggi. Considerando inoltre che l’ecosistema europeo della bicicletta rappresenta già più di mille piccole e medie imprese e 1 milione di occupati, che possono crescere fino a 2 milioni entro il 2030 grazie alla creazione di nuovi posti di lavoro verdi e l’assorbimento di lavoratori riqualificati provenienti da altri settori.

Tutto bene dunque? Niente affatto, perché per realizzare questo scenario sono necessarie infrastrutture ciclabili sicure, diffuse e soprattutto in grado di sbloccare il potenziale della mobilità ciclabile, che rappresenta una validissima alternativa per gli spostamenti su brevi distanze. E qui cominciano i guai veri. Perché tutto questo bell’affresco deve fare i conti con la gelida realtà: le piste ciclabili sono infatti osteggiate nelle grandi città, a partire da Milano, per via della forte opposizione delle lobby locali, specie quelle dei commercianti, che ostacolano le iniziative portate avanti dai Comuni bloccandone o rallentandone le iniziative, eccetto rare eccezioni. Un vero peccato, perché i progetti e le risorse economiche ci sono. E provengono in modo molto massiccio dal Pnrr.

Grandi risorse finanziarie a disposizione

La mobilità sostenibile, a partire da quella ciclabile, ha infatti ricevuto un’attenzione particolare dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, che ha messo a disposizione ingenti risorse per lo sviluppo di piste ciclabili, metropolitane, tram, filovie e autobus a zero emissioni. Il programma interseca infatti alcuni milestones del Pnrr quali quello delle “infrastrutture per una mobilità sostenibile” (missione 3) e quello dedicato alla “rivoluzione green e transizione ecologica” (missione 2), toccando anche il tema della “salute” (missione 6). Sono stati così stanziati 3,6 miliardi di euro per il trasporto rapido di massa, con la realizzazione di 240 km di rete attrezzata per le infrastrutture suddivise in metro (11 km), tram (85 km), filovie (120 km), funivie (15 km). Il focus dell’intervento sarà principalmente su 15 aree metropolitane italiane (Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Padova, Perugia, Pozzuoli, Rimini, Roma, Taranto e Trieste). Ma anche il rinnovo delle flotte dei bus ha ricevuto un boost di finanziamenti per i grandi e i medi Comuni pari a 2,415 miliardi di euro che consentiranno l’acquisto di almeno 717 autobus ecologici entro il 31 dicembre 2024 e l’entrata in servizio di almeno 2.690 autobus a zero emissioni entro il 30 giugno 2026.

Infine, e non certo ultime per importanza, ci sono le risorse destinate al rafforzamento della mobilità ciclistica con un ammontare di 600 milioni di euro per realizzare circa 570 chilometri di piste ciclabili urbane e metropolitane e circa 1.250 km di piste ciclabili turistiche. In particolare, 200 milioni dei 600 previsti saranno destinati specificamente alle piste ciclabili di 45 città italiane con popolazione superiore ai 50mila abitanti e sedi di università con più di 5mila studenti iscritti. L’intento di questa misura è promuovere la crescita del settore tramite realizzazione e manutenzione di reti ciclabili in ambito urbano, metropolitano, regionale e nazionale, sia con scopi turistici o ricreativi, sia per favorire gli spostamenti quotidiani e l’intermodalità, garantendo la sicurezza. La misura ha anche l’obiettivo di migliorare la coesione sociale a livello nazionale, con il 40% delle risorse destinate alle regioni del Sud Italia.

2024 Anno europeo della bicicletta

Si capisce a questo punto quanto siano strettamente collegati i temi sostenuti dal Pnrr e quelli contenuti nella risoluzione del Parlamento europeo in cui si invita la Commissione a sostenere il settore della bicicletta e tutta la sua filiera. Ma la risoluzione del 16 gennaio fa anche di più, sottolineando che il cicloturismo e il ciclismo nelle zone rurali devono essere sostenuti con lo sviluppo ulteriore della rete EuroVelo e delle sue 17 piste ciclabili, e incoraggiando gli Stati membri a ridurre le aliquote Iva per la fornitura, il noleggio e la riparazione di biciclette elettriche e tradizionali.

Ma la “Cycling strategy” dell’Unione europea non finisce qui: per rendere ancora più sentita e condivisa la questione della viabilità ciclistica, il Parlamento invita la Commissione a designare il 2024 “Anno europeo della bicicletta” dando un segnale forte nel riconoscere il ruolo centrale della bicicletta nei trasporti urbani ed extraurbani e nel modificare le abitudini della popolazione europea. Infine la risoluzione incoraggia le imprese, le organizzazioni pubbliche e le istituzioni a promuovere l’uso della bicicletta attraverso incentivi specifici, compresi programmi per i dipendenti e l’installazione di un numero sufficiente di parcheggi per biciclette con caricabatterie per biciclette elettriche.

Pagare chi va al lavoro in bici?

Quest’ultima raccomandazione è un segnale davvero singolare perché fa capire quanto il cambiamento delle abitudini “car-centric” della popolazione passi non soltanto attraverso la spinta delle istituzioni pubbliche ma anche di quelle private. In questo senso è interessante evidenziare l’iniziativa nata pochi mesi fa nel territorio di Reggio Emilia dove un centinaio di aziende ha fatto richiesta al Comune affinché venga fornito un rimborso ai propri dipendenti che raggiungono il lavoro sulle due ruote. Quest’iniziativa è la più recente in Italia, ma non la prima. Già in precedenza a Bergamo, Padova, Cuneo e Bari, per citare le città più importanti, si è pensato di incoraggiare l’impiego della bicicletta per andare al lavoro con un incentivo o un rimborso che si aggira intorno ai 25 centesimi al chilometro. I chilometri vengono monitorati da un’applicazione fornita dal Comune o dall’azienda e permettono di accumulare in busta paga fino a cinquanta euro aggiuntive al mese.

Gli ostacoli ancora da superare

Per tornare agli ostacoli che si frappongono tra le belle intenzioni dell’Europa e le reali difficoltà incontrate nella messa a terra della “ciclabilità” italiana, non possiamo non segnalare le pericolose intemperanze estive dell’attuale Governo che, dapprima, cancella dalla Legge di bilancio circa 100 milioni destinati a incrementare i percorsi ciclistici e poi pensa bene di eliminare anche i 400 milioni già previsti per la realizzazione delle ciclovie turistiche in occasione della revisione “estiva” del Pnrr. Tentativi di sabotaggio subito sgonfiatisi con il rientro dalle ferie d’agosto. È evidente che il tema delle ciclabili è in Italia anche un argomento fortemente polarizzato a livello politico. Da un lato le istanze progressiste spingono verso un utilizzo più umano, democratico e sostenibile delle strade cittadine, dall’altro la potente “lobby dei bottegai” che non vuole cambiare lo status quo delle città, specie dei centri storici, e brandisce l’arma del consenso elettorale per intimidire le amministrazioni locali. Inducendole così a limitare le azioni volte a promuovere la mobilità sostenibile, a partire dalla limitazione dei 30 km orari, unico strumento in grado di permettere la coesistenza di auto e biciclette.

In mezzo ci sono ovviamente anche altri problemi, a cominciare dal comportamento dei ciclisti, spesso totalmente privi di educazione stradale, e da una certa lacuna a livello normativo che non consente una corretta applicazione delle sanzioni, soprattutto verso i ciclisti.

Il falso mito del soffocamento del commercio

A concludere questa rapida disanima dei guai che affliggono la “ciclabilità” in Italia, ci piace segnalare il punto di vista di una nota ricercatrice tedesca, Carmen Hass-Klau, che smentisce drasticamente la tesi secondo cui l’assenza di traffico automobilistico soffochi gli affari dei commercianti. Il filone di studi da lei inaugurato nel 1993 ha dimostrato nel tempo che, laddove si pedonalizzano le aree commerciali cittadine, aumentano gli incassi dei negozianti e si incrementano anche le aperture di nuovi esercizi. In parole povere, pedoni e ciclisti spendono di più nelle aree chiuse al traffico, contrariamente a quello che pensano gli esercenti. I quali hanno invece la tendenza a sovrastimare la quantità di clienti automobilisti. Tutte ricerche accademiche che non trovano quasi mai visibilità nella discussione pubblica e che in Italia probabilmente non verranno implementate per via dei vincoli politici e culturali appena segnalati.

 

Quest’articolo fa parte dello “Speciale mobilità sostenibile e Pnrr” contenuto nell’ultimo numero cartaceo di Acta non verba consultabile a questo link.

 

 

 

 

 

 

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