La riduzione delle emissioni di gas serra, le valutazioni sul Superbonus 110%, gli incentivi alle auto a combustibili fossili e l’inarrestabilità delle auto elettriche. Ne parliamo con Luca Sut, capogruppo M5S in X Commissione Attività produttive di Montecitorio.
di Roberta Morosini
Il documento sulla Strategia italiana di lungo termine sulla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra, ufficialmente inviato alla Commissione Europea a febbraio, prevede un aumento molto rilevante delle energie rinnovabili: ad esempio l’energia fotovoltaica installata nel 2050 dovrà essere 10-15 volte quella attuale. Ma come si potrà raggiungere questo obiettivo? Lo abbiamo chiesto a Luca Sut, capogruppo M5S in X Commissione Attività produttive, commercio e turismo.
Onorevole Sut, quali sono gli ostacoli più importanti da superare per governare questa difficile transizione ecologica?
«L’obiettivo che deve darsi la politica in un momento come questo, che vede una forte attenzione orientarsi ai temi della transizione ecologica, è continuare a puntare sulle fonti rinnovabili, rimuovendo – anziché ponendo – nuovi ostacoli. Tra questi sicuramente c’è la burocrazia. Semplificare le procedure sarà un aspetto importante a cui guardare se si vuole davvero raggiungere l’obiettivo prefissato. Nel frattempo guardiamo con fiducia all’intenzione del ministro Cingolani di accelerare su questo fronte, definendo finalmente il decreto Fer2 (Fonti energie rinnovabili) relativo agli incentivi alle energie rinnovabili non mature, innovative o suscettibili di innovazione, ed estendendo la durata temporale del Fer1, consentendo nuove procedure di asta o registro anche dopo il settembre 2021».
Si discute sul fatto che l’incentivo Supebonus 110%, pur necessario per supportare l’aumento dell’efficienza energetica nel settore residenziale, possa essere regressivo dal punto di vista fiscale, perché è oggettivamente più difficile accedervi per condomini delle case popolari, in cui spesso ci sono situazioni di disagio e famiglie a minore reddito. Come si affronta questo problema?
«Premetto che gli immobili di edilizia popolare non sono stati dimenticati dalla norma relativa al Superbonus. Nell’iter di conversione in legge del Dl Rilancio sono stato primo firmatario di un emendamento, poi approvato, che ha esteso la misura agli immobili di proprietà degli Istituti autonomi case popolari e degli enti aventi le stesse finalità sociali. Segno del fatto che la sensibilità verso i contesti sociali più complessi è stata parte integrante del disegno del legislatore. Il problema di fondo, in questo caso, è legato alle più lunghe tempistiche di programmazione e di realizzazione degli interventi ammessi. In tal senso si concretizza l’istanza di una proroga quanto più ampia del Superbonus. Ed è questo l’obiettivo che stiamo perseguendo, in concreto, continuando a chiedere a gran voce l’impegno del Governo a estendere quanto più la durata di questi incentivi, andando incontro alle esigenze che ci arrivano da più fronti, a partire dall’edilizia popolare fino alle associazioni di categoria. Al momento ci sembra di aver comunque imboccato la strada giusta. Dalle bozze tecniche del Pnrr emerge la volontà di proroga di 6 mesi il 110%, sia per i condomini che per le case popolari. Stando al testo, quindi, i primi potranno usufruire del 110% fino a dicembre 2022 indipendentemente dallo stato di avanzamento dei lavori, mentre i secondi almeno fino a giugno 2023, con possibilità di estensione a tutto il 2023 in caso di completamento di almeno il 60% dei lavori. Non possiamo definirci soddisfatti, ma come ribadito in audizione del Ministro Cingolani, dobbiamo procedere con la proroga almeno fino alla fine del 2023 per tutte le tipologie di edifici».
Attualmente aumentano le vendite di auto elettriche e contemporaneamente si spingono gli incentivi all’acquisto di auto a combustibili fossili. Non c’è una contraddizione?
«Non condividiamo l’incentivazione all’acquisto di veicoli a combustibile fossile con emissioni al di sopra dei 60 gCO2/km. Sostenere questo mercato è anacronistico, contrariamente all’idea di investire risorse in interventi che siano in linea con un modello di società ecosostenibile. Come lo sono, ad esempio, le iniziative che stiamo mettendo in campo per potenziare la presenza di infrastrutture di ricarica per veicoli elettrici. Questo perché i veicoli a combustibile fossile sono il passato: sulla base alla nostra visione di Paese, di Economia e di Trasporto, i motori tradizionali non andrebbero già da ora più incentivati, lasciando il posto alla promozione di quelli ecologici, ovvero elettrici o a basso impatto ambientale. C’è però da aggiungere che la transizione energetica va in qualche modo accompagnata. E con l’arrivo della pandemia si è rinforzata la necessità di sostenere la filiera dell’automotive che versa in grave crisi. Alla luce di una congiuntura particolarmente negativa per il settore, abbiamo accettato nostro malgrado di incentivare i veicoli con emissioni superiori, dai 61 ai 110 gCO2/km. Ciò non ci distoglie dagli obiettivi previsti nel Pniec, cioè il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima: 4 milioni di veicoli elettrici e 2 milioni di ibridi al 2030».
In questo momento è in discussione un limite per la produzione di auto a combustibili fossili, anche per dare un segnale alle case automobilistiche. Quale è la sua posizione su questo?
«La riflessione sulla fine della produzione di veicoli tradizionali è sicuramente opportuna. Vorremmo arrivare anche noi a uno stop in tal senso, come hanno già fatto la Norvegia e la Gran Bretagna. Al momento c’è un nostro ordine del giorno, poi accolto, che il collega Giuseppe Chiazzese ha presentato congiuntamente al Decreto Agosto e che io stesso ho cofirmato. Con esso è stato chiesto l’impegno del Governo a valutare la predisposizione di misure finalizzate a interrompere, dal 2035, la produzione di auto a combustione interna. Penso che questo termine sia raggiungibile. Gli Italiani già da ora stanno mostrando interesse verso il mondo dei veicoli elettrici o, comunque, a basse emissioni. Anche per questo bisogna insistere con la promozione di una mobilità sostenibile, mettendo già da ora gli automobilisti nella condizione di scegliere la riconversione green dei motori».
Si parla molto di idrogeno, ma se si guardano i numeri pubblicati nel documento Strategia italiana di lungo termine il suo ruolo è importate ma non così centrale come la produzione di energia rinnovabile, in quanto l’idrogeno è solo un vettore energetico che necessita oltretutto di grandissime quantità di energia per la sua produzione industriale. Non ritiene sia un po’ sopravvalutato il suo ruolo nel dibattito sulla decarbonizzazione?
«L’idrogeno verde per noi è l’opzione energetica su cui puntare nel processo di transizione ecologica in corso. Il suo impiego è da prevedersi solo nei settori “hard to abate” e non in quelli dove l’elettrificazione è già ora la soluzione più idonea e conveniente. Come in tutte le fasi di transizione che si rispettino, si discute approfonditamente di tutti gli elementi che compongono il cambiamento in atto. L’idrogeno verde ha sicuramente la sua parte nel processo di decarbonizzazione e il suo utilizzo sarà poi commisurato alla sua funzione che concorre al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni. Adesso è fondamentale poter disporre di quanti più elettrolizzatori per la sua produzione, senza incorrere nell’errore di investire sull’idrogeno blu, tecnologia ancora poco matura e sulla quale allo stato attuale non si dispone di dati sufficienti per confermarne la convenienza su scala significativa (come ad esempio i costi presenti e futuri per il sequestro, il trasporto e lo stoccaggio della CO2) e che potrebbe rivelarsi inefficace, inefficiente e rischiosa».