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Il successo di Danila De Stefano, “una brava”

Danila De Stefano

Unobravo è leader di mercato come provider di servizi di psicologia online e oggi dà lavoro a circa 2.400 professionisti, di cui il 93% donne, grazie a un modello di business innovativo per l’Italia. Parliamo dei suoi inizi e della sua evoluzione futura con Danila De Stefano, Ceo & founder.

 

di Franco Genovese

 

Con la sua piattaforma di consulenza psicologica online, Unobravo è in rapidissima crescita fin dal momento del suo lancio, avvenuto nel 2019. E, pur in perdurante pandemia, ha continuato a suscitare interesse per il suo servizio innovativo che riesce a favorire l’incontro tra utente e terapeuta.

Un interesse che si è dimostrato crescente anche da parte degli investitori: la compagine azionaria vede infatti, fra gli altri soci, Cdp Venture Capital tramite il Fondo Italia Venture II – Imprese per il Sud, mentre SocialFare Seed, oggi ex socio di Unobravo, ha recentemente venduto le proprie quote al fondo americano di venture capital e private equity Insight Partners, che ha poi fatto confluire su Unobravo un investimento di ben 17 milioni di euro.

Ne parliamo con la fondatrice Danila De Stefano, psicologa e imprenditrice, classe 1992, che sta già replicando il modello di business in Spagna con il nuovo brand Buencoco e avviando nuove partnership con il settore privato.

 

Come e quando ha trovato le informazioni e le skills necessarie per il lancio di Unobravo?

«Prima di avviare il progetto, nel 2019, avevo iniziato a scoprire il mondo delle startup navigando in rete. Ne sono rimasta subito affascinata, sebbene le mie conoscenze fossero amatoriali. Grazie alla mia curiosità e voglia di cimentarmi in sempre nuove avventure, mi sono divertita nella creazione del sito, curandone il design, il marketing, i social a tutto tondo. Sponsorizzavo il sito su Facebook senza un centesimo da poter investire e contavo su un piccolo gruppo di professionisti che avevano iniziato a erogare le sedute di terapia. Solo successivamente ho intuito che il progetto che stavo costruendo era proprio una startup. Insomma, prima “l’ho fatto” e poi ho capito che nome aveva. Questo è successo fino a quando l’incubatore di startup a impatto sociale SocialFare Seed ci ha selezionati per un programma di accelerazione e nei quattro mesi successivi abbiamo visto l’evoluzione in un vero e proprio progetto imprenditoriale innovativo. E anche le nostre competenze si evolvevano di conseguenza».

 

Esistevano già esperienze all’estero di piattaforme per la psicoterapia online a cui si è ispirata?

«All’estero esistevano già servizi di psicoterapia online, soprattutto negli Stati Uniti dove la modalità da remoto risale al successo di Skype, oltre dieci anni fa. In Europa e in Italia il modello di business della telemedicina era invece generalista, si concretizzava in directories in cui diversi professionisti si mettono in evidenza e vengono contattati in rete per poi essere incontrati in studio. Con Unobravo abbiamo deciso di cambiare questo modello di offerta introducendo un elemento di garanzia e selezionando singolarmente i terapeuti che entrano a far parte del team clinico».

 

Lei ha lanciato la sua attività nel pieno dell’emergenza sanitaria, nel periodo quindi meno propizio per l’avvio di una startup, reso tuttavia più favorevole dal bisogno esplosivo di quelle cure e attenzioni psicologiche innescate proprio alla pandemia. Come sta procedendo oggi lo sviluppo aziendale di Unobravo?

«Siamo estremamente concentrati nel migliorare ogni giorno l’offerta sia ai nostri pazienti che ai nostri terapeuti. Dal “giorno 1” ci siamo concentrati sulla qualità clinica e, a oggi, abbiamo ottenuto risultati sorprendenti, passando dalle prime decine di pazienti dei primi mesi a oltre 60mila odierni. La nostra crescita ci pone nella posizione di poter investire sull’assunzione del personale, attualmente oltre 120 persone, sull’aumento del team dei terapeuti (ora di 2.400, ndr) così da poter continuare il nostro percorso di crescita. Oggi, in assenza di restrizioni e lockdown, possiamo confermare che non solo non sono diminuite le richieste dei pazienti, e che quindi la terapia online non è un fenomeno strettamente connesso all’impossibilità di uscire di casa, ma continuano a crescere esponenzialmente, a dimostrazione del fatto che la terapia online è una valida alternativa in quanto pone sia i terapeuti che i pazienti in una situazione di assoluta flessibilità e comodità, oltre che di prezzo più accessibile. Continueremo a sviluppare Unobravo in modo da riuscire a offrire sempre nuovi servizi di benessere mentale e di supporto al lavoro degli psicologi».

 

Per la sua start-up innovativa ha potuto usufruire di bandi e agevolazioni per l’imprenditoria giovanile o femminile o si è affidata totalmente al private financing?

«No, non abbiamo usufruito di bandi e agevolazioni per l’imprenditoria giovanile o femminile e per i primi tre anni non abbiamo usufruito di private financing. Quando ho avviato la startup disponevo di un capitale sociale di soli 5mila euro e nei primi anni abbiamo trovato il modo di crescere con le nostre gambe, in bootstrapping (cioè aiutandosi da sola, in autofinanziamento, ndr), come da linguaggio startup».

 

E chi l’ha guidata in queste scelte così difficili e complesse?

«In queste scelte non mi ha guidata nessuno, è stato un lavoro di team tra me, Gregorio Maria Diodovich, nostro chief operating officer, e Angelo Casagrande, socio e advisor di Unobravo. Ci tengo a sottolinearlo perché ne vado particolarmente fiera. Nel 2020 Cdp Venture Capital e SocialFare Seed hanno investito 150mila euro per i primi piccoli investimenti ma poi abbiamo trovato una quadra per rendere l’azienda economicamente sostenibile. Questo, unito al servizio a impatto sociale, rende Unobravo speciale. A luglio 2022 abbiamo inoltre chiuso un round d’investimento con Insight Partners, società di venture capital e private equity con sede a New York, di 17 milioni di euro. Questa scelta è stata dettata dal fatto che l’azienda era diventata molto solida e forte e abbiamo deciso di lanciare Unobravo anche all’estero, oltre a sviluppare i nostri servizi ulteriormente».

 

Gli ostacoli maggiori incontrati lungo il percorso sono stati più di tipo finanziario o di tipo tecnico-organizzativo?

«Essere una giovane donna e avviare una startup non è stato semplicissimo agli inizi, soprattutto se non si ha una formazione manageriale o finanziaria, come nel mio caso. Nel mondo dell’imprenditoria, e quindi anche nell’ecosistema startup, ci sono sempre persone “con più esperienza” pronte a dare suggerimenti, consigli e fare consulenza ma che non sempre mettono il tuo progetto al centro. Può quindi essere difficile continuare a essere caparbi e restare fedeli al proprio istinto. Solo in questo modo ho avuto conferma di come alcuni suggerimenti non potevano essere applicati alla nostra startup e, al contrario, le mie intuizioni fossero più appropriate. In ogni momento ho però avuto timore di prendere le decisioni errate e che a causa di tali scelte rovinassi tutto, danneggiando me e i nostri collaboratori. Sono fiera di essere cresciuta come imprenditrice seguendo la mia testa e il mio istinto».

 

Come è stato accolto l’ingresso di Unobravo nel paludato e un po’ ingessato mercato della terapia psicologica dai professionisti del settore?

«Per quanto riguarda l’accoglienza di un servizio di terapia online, inizialmente sia la categoria dei professionisti, sia quella dei pazienti esprimeva scetticismo. Ma durante i mesi di lockdown tutti sono stati quasi “obbligati” a sperimentare questa modalità e il fatto che medici e pazienti siano rimasti attivi nell’effettuare le sedute da remoto dimostra come i timori iniziali fossero semplici timori. Da oltre dieci anni numerosi studi, soprattutto statunitensi, dimostrano infatti l’efficacia della terapia da remoto in un alto numero di problematiche psicologiche, non constatando alcuna differenza in termini di efficacia rispetto alla terapia in presenza.

 

E che come è stata recepita quest’iniziativa da parte dell’Ordine degli Psicologi?

«Non parlerò a nome dell’Ordine degli Psicologi per correttezza nei loro confronti, posso solo dire che a oggi non ci sono stati problemi in quanto dal primo giorno abbiamo lavorato seguendo il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani e confrontandoci con le istituzioni in ogni occasione per essere certi di star sviluppando un servizio assolutamente in linea con le richieste istituzionali e le contemporanee necessità professionali. Inutile dire che continueremo a farlo, abbiamo un profondo rispetto per la professione per la quale ho studiato fin dall’Università diventando io per prima Psicologa. Mi mancavano le competenze manageriali, ma il nostro successo è stato certamente dovuto anche alla mia competenza di professionista e quella di Valeria Fiorenza Perris e Corena Pezzella, psicoterapeute in Unobravo fin dal principio, oggi rispettivamente clinical supervisor e Hr manager. Siamo nati inserendoci con competenza in una professione molto importante».

 

Che cosa si sente di consigliare rispetto alle opportunità offerte dalle misure di sostegno per giovani e donne imprenditrici?

«Riuscire ad avvalersi di un sostegno economico è sicuramente importante all’inizio del percorso imprenditoriale e soprattutto per la maggioranza delle aziende che non ha un modello di business ma che è possibile far crescere in bootstrapping, come nel nostro caso. In particolare per i giovani e le donne imprenditrici è sempre interessante sapere che ci sono misure a loro disposizione. Andrebbero però rese più accessibili e più conosciute, in quanto oggi se ne sente parlare ancora drammaticamente poco. Mi ritengo abbastanza inserita nell’ecosistema startup italiano, e continuo sempre e solo a sentire di venture capital o debito bancario per le aziende già sul mercato. Spero che a livello istituzionale le cose cambino e si comprenda l’importanza delle nuove aziende, le future datrici di lavoro di migliaia se non milioni di italiani. Se le startup non crescono, il Paese dovrà sempre e solo contare sulle “vecchie” aziende, cosa estremamente limitata se si guardano i risultati di nazioni come la Francia e la Germania, dove l’innovazione è uno dei motori economici del Paese».

 

 

 

 

 

 

 

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