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Diventare benefit? Perché no!

società benefit

I vantaggi di una società benefit sono moltissimi, a cominciare da quelli reputazionali e di immagine. Ecco una panoramica delle caratteristiche di quest’interessante istituto giuridico e di tutti i soggetti coinvolti nella trasformazione societaria.

 

di Franco Genovese

 

In un contesto in cui la sostenibilità è ormai entrata a far parte delle pratiche economiche condivise, il modello delle società benefit rappresenta per l’Italia un sistema societario molto innovativo e in grado di rispondere alle richieste di sostenibilità di un territorio. In questo senso il gran merito del nostro Paese è di essere stato il primo in Europa ad aver inserito nel proprio ordinamento questa nuova forma giuridica d’impresa.

Perché diventare “benefit”

Introdotte con la legge di Stabilità del 2016, le società benefit godono già di un successo strepitoso, a giudicare dai numeri provenienti da una recente ricerca di InfoCamere e Assobenefit, da cui emerge come si siano quasi quadruplicate nell’ultimo biennio, passando dalle 500 circa di marzo 2020 alle oltre 1.900 di quest’anno.

I motivi di questo boom sono molti, a cominciare dalla concessione di una tax credit in grado di abbattere del 50% le spese di avviamento o di trasformazione in società benefit. Ma i vantaggi riguardano anche e soprattutto le ricadute in termini di immagine e di reputazione, laddove l’impresa può vantare un’identità più sostenibile e responsabile verso i propri lavoratori, fornitori, clienti e verso stakeholder di vario genere, a partire dalla pubblica amministrazione.

Ma come si diventa società benefit? Tra i requisiti principali c’è innanzitutto l’indicazione nell’oggetto sociale del beneficio comune, con un equo bilanciamento dell’interesse dei soci e del beneficio comune perseguito, andando anche a modificare, se necessario, l’atto costitutivo dell’azienda o lo statuto. Dopodiché è necessario individuare all’interno dell’azienda uno o più soggetti in veste di “Responsabile del perseguimento del beneficio comune”, e quindi del controllo del perseguimento delle finalità definite nell’oggetto sociale. L’ultimo elemento, forse il più importante, è la relazione annuale sulle modalità di perseguimento del beneficio che deve essere allegata al fascicolo di bilancio e pubblicata nel sito internet della società. Questa relazione si chiama “Valutazione d’impatto”.

Cos’è la Valutazione d’impatto

Il tema della quantificazione del valore generato su un territorio, e soprattutto delle ricadute positive sulla comunità e sull’ambiente, è assai complesso perché richiede una serie di misurazioni e di verifiche volte a comprendere se un’iniziativa ha generato i cambiamenti attesi e il ruolo svolto dall’organizzazione nel promuovere un reale beneficio. Qui entra in gioco il grande e discusso problema di quali metriche siano più idonee nella valutazione di impatto e quali enti possano certificarne il percorso. Ma non essendo definite per legge, le modalità di misurazione rimangono molto eterogenee e danno origine ad ambiguità interpretative. E questo rappresenta sicuramente un limite del sistema di valutazione della bontà e della veridicità complessiva dell’impatto.

La differenza con le BCorp

Nel nostro regolamento giuridico le società benefit si differenziano parecchio dalle americane BCorp per la verifica della misurazione dei risultati ottenuti su un territorio. Mentre in Italia le società benefit sono inquadrate nel sistema legislativo come una delle tipologie societarie complementari rispetto ai tradizionali modelli, le BCorp sono società certificate da un ente certificatore terzo, non profit e indipendente, chiamato B Lab, che utilizza uno standard di valutazione ben definito, il B Impact Assessment (Bia), e riconosciuto dalla comunità enterprise globale. La certificazione Bia avviene dopo un severo test che comporta una valutazione su diversi indicatori fino a ottenere un punteggio complessivo maggiore o uguale a 80 punti su 200. Nella valutazione di impatto per diventare società benefit questa severità è, per il momento, del tutto opinabile.

Chi vigila sulle società benefit?

A vigilare sul buon operato delle società benefit è l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, volgarmente definita “Antitrust”. È infatti piuttosto evidente il ruolo giocato dagli aspetti psicologici nelle scelte dei consumatori verso imprese che si mostrano sensibili ai temi della sostenibilità, del welfare aziendale e delle ricadute positive sul territorio di appartenenza. L’attività di vigilanza consiste dunque nel verificare che non vi siano, da parte delle aziende titolate come “benefit”, delle condotte irregolari che, oltre a ingannare il consumatore, determinino una deformazione del principio della concorrenza del mercato sfruttando una reputazione illegittima.

 

 

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“La nostra mission consiste nel dotare i lettori di un magazine in grado di decifrare il vasto mondo della gestione d’impresa grazie a contenuti d’eccezione e alla collaborazione con enti pubblici e privati.”

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