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Maggior cura dei boschi per sostenere l’economia

L’Italia è il secondo Paese europeo per copertura boschiva, deve però gestire bene il proprio “tesoro verde” e sfruttare il Pnrr per generare una migliore economia circolare e sociale. Lo evidenzia Ermete Realacci, presidente di Symbola.

di Andrea Ballocchi

Dalla gestione e valorizzazione di boschi e foreste, l’Italia ha tanto da guadagnare. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza assegna infatti alla cosiddetta “Rivoluzione verde e transizione ecologica” più di 59 miliardi di euro, la quota più rilevante dei finanziamenti. Il Pnrr può dunque avere nei boschi e nelle foreste «uno dei suoi punti di forza a partire da un’alleanza tra pubblico, privato, comunità e cittadini». Ne è fermamente convinto Ermete Realacci, ricordando che l’Italia è oggi, con 11,4 milioni di ettari e il 38% della sua superficie territoriale il secondo tra i grandi Paesi europei per copertura forestale.
Ambientalista (ha guidato per anni Legambiente, di cui è presidente onorario) ed ex parlamentare italiano, nonché presidente della commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei Deputati, Realacci è stato primo firmatario e artefice della legge per la valorizzazione dei piccoli Comuni, nonché promotore della legge sugli ecoreati. Oggi è presidente di Symbola, la Fondazione per le qualità italiane, che ha pubblicato due anni fa insieme a Coldiretti il report Boschi e foreste nel Next Generation Eu, in cui è stata illustrata la grande ricchezza (e bellezza) del patrimonio boschivo e forestale italiano. E proprio di recente ha pubblicato Soluzioni e tecnologie per i piccoli comuni e le aree montane in cui viene dedicato un capitolo alla gestione delle foreste. È qui che si evidenziano le grandi opportunità legate alla valorizzazione del patrimonio boschivo nazionale: si stima che il solo miglioramento della gestione dei 783mila ettari di bosco italiano già dediti alla silvicoltura sarebbe in grado di aumentare di oltre 3 milioni di metri cubi la produzione nazionale, con effetti positivi a cascata su tutta la filiera.

Presidente Realacci, pochi giorni fa in occasione della giornata internazionale delle foreste ha ricordato che il Pnrr può avere nei boschi e nelle foreste uno dei suoi punti di forza a partire da un’alleanza tra pubblico, privato, comunità e cittadini. In che modo è possibile sviluppare questa interazione?
«Servono norme semplici ed efficaci, che evitino gli ostacoli posti da una soffocante burocrazia o da opposizioni a tutto modello Nimby (not in my backyard, ndr.). Occorre trovare le giuste sinergie tra pubblico e privato per la gestione dei territori, anche attraverso strumenti nuovi e innovativi. Penso alle comunità energetiche, per esempio. Serve rendere la vita più semplice a questi “pezzi di futuro” che possono mettersi in moto. Nel report Soluzioni e tecnologie per i piccoli Comuni e le aree montane vengono illustrate 44 buone pratiche relative a 11 ambiti, tra le quali la gestione delle foreste. In esso emerge come l’innovazione sia una chiave per la trasformazione delle sfide in opportunità per contesti che sono depositari di un immenso patrimonio e della quasi totalità delle aree protette italiane, in cui abbondano risorse boschive e idriche».

Che cosa occorre fare a questo punto?
«Ora bisogna tradurre linee di politica generale in possibilità di produrre economia e benessere per le zone interessate. Uno strumento molto interessante è quello delle comunità energetiche. Esse favoriscono, anche con finanziamenti dedicati, la realizzazione di filiere legate all’uso delle rinnovabili, con un’attenzione particolare ai piccoli Comuni, che possono trovare nel patrimonio forestale uno strumento importante grazie allo sfruttamento accorto e controllato per produrre energia rinnovabili da biomasse legnose. È già una possibilità attuata in diverse aree d’Italia, specie quelle alpine».

Il Pnrr prevede grandi risorse per le città metropolitane, lo sviluppo di boschi urbani e periurbani. L’obiettivo è mettere a dimora almeno 6,6 milioni di alberi per 6.600 ettari di foreste urbane. Inoltre promuove la digitalizzazione dei parchi nazionali. Quale ruolo potrà avere il Piano per valorizzare il patrimonio verde italiano, urbano ed extraurbano?
«Il Pnrr avrà un ruolo importante se verranno prese in debita considerazione le indicazioni dell’Unione Europea, imprescindibile per contare sui fondi. C’è un rischio latente nel Piano, spinto da una politica che manca di una visione rivolta al futuro. Ed è quello di usare i fondi Ue in modo inappropriato. Il rischio è che la poca chiarezza e capacità progettuale tenda a considerare il Piano come uno strumento per finanziare progetti pensati nel passato e ormai anacronistici anziché puntare sul futuro. Vale in particolare nella partita legata al verde, urbano ed extraurbano. Del resto l’Europa è stata molto chiara nell’indicare i campi in cui impiegare le risorse, vale a dire la coesione, la transizione verde e il digitale».

Che cosa occorre mettere in evidenza quando si parla di boschi e foreste?
«Ogni anno le foreste italiane sottraggono dall’atmosfera circa 46,2 milioni di tonnellate di anidride carbonica, che si traducono in 12,6 milioni di tonnellate di carbonio accumulato. Gli alberi riducono una parte delle emissioni di anidride, danno più qualità e abbattono l’inquinamento nelle città, possono rafforzare la filiera del legno importante per il Made in Italy. La biodiversità e la bellezza sono una parte essenziale di quell’economia a misura d’uomo che è il cuore del Manifesto di Assisi. Un’economia per questo più forte e capace di affrontare le sfide che abbiamo davanti. Il verde urbano è prezioso per la salute e il benessere dei cittadini, ma anche per affrontare i cambiamenti climatici. Inoltre è un elemento di rivalutazione del patrimonio edilizio urbano. Abbiamo strumenti legislativi in grado di favorire una collaborazione più forte con cittadini e privati per la gestione del verde in città. A maggior ragione queste potenzialità valgono per boschi e foreste italiane che, pur diffuse per superficie, sono spesso il risultato di un progressivo abbandono di aree una volta gestite e valorizzate».

Pur essendo il secondo Paese europeo per copertura forestale, l’Italia dipende in buona parte dall’export per il legname destinato all’industria. Che cosa si può fare per invertire la tendenza preservando al tempo stesso le foreste italiane?
«Occorre gestire bene i boschi, proprio come accade in altri Paesi, recuperando la cultura che produce economia, occupazione, vita. Tante volte il nostro futuro, specie per l’Italia, può trovare indicazioni e radici nella nostra storia. Ho sempre in mente un passo della Regola Camaldolese del 1520, stilata dai monaci Camaldolesi, oculati gestori delle foreste Casentinesi, ancora oggi polmone verde dell’Appennino tosco-romagnolo. Proprio sulla gestione dei boschi si scrive che per per un’accorta gestione forestale occorre avere regole precise e farle rispettare, non “diminuire la selva” e garantire il patrimonio di bellezza che boschi e foreste sono in grado di offrire. Su questo occorre lavorare, anche per contare su un patrimonio anche in termini di materia prima da impiegare nella nostra industria. Perché, pur essendo i terzi al mondo per saldo della bilancia commerciale nel legno-arredo con oltre 10 miliardi di dollari, e pur essendo il secondo Paese in Europa per superficie coperta da boschi e foreste, importiamo oltre l’80% del legname. E questo anche se il nostro Paese è in Europa quello più “circolare” nella gestione delle materie prime grazie al primato nel loro recupero. Partiamo dai nostri punti di forza per costruire un futuro migliore».



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