Esportando il 92% dell’intera produzione, l’Aceto Balsamico di Modena Igp è il campione italiano dell’export agroalimentare, riuscendo ad arrivare sui mercati di ben 120 Paesi esteri. Un successo che parte da molto lontano, come ci racconta Mariangela Grosoli, presidente del Consorzio di Tutela.
di Franco Genovese
È uno degli ambasciatori più significativi del Made in Italy agroalimentare nel mondo e continua a raccogliere consensi su tutte le tavole grazie alla sua sofisticata formula e alla giusta concentrazione di zuccheri e acidità delle sue uve. Il bollino blu dell’Indicazione geografica protetta dell’Aceto Balsamico di Modena individua infatti nelle province di Modena e Reggio Emilia le uniche zone di coltivazione dei vigneti e della produzione di questo baluardo dell’italianità. Un disciplinare che ha reso famoso nel mondo il prezioso condimento, come spiega Mariangela Grosoli, presidente del Consorzio di Tutela dell’Aceto Balsamico di Modena Igp.
Come siete arrivati a questo fantastico risultato?
«È stato grazie alla lungimiranza di quattro imprenditori illuminati, quattro produttori storici che sono tutt’ora sul mercato, se si è aperta la strada dell’internazionalizzazione per l’Aceto Balsamico di Modena Igp. Negli anni Ottanta sono stati loro, per primi, ad aver compreso come la versatilità e la ricerca del gusto del prodotto italiano avrebbero potuto rappresentare una leva strategica, in grado di portare a una maggiore diffusione all’estero piuttosto che in Italia».
Quali strumenti di marketing o di comunicazione sono stati utilizzati per arrivare fin qui?
«Inizialmente abbiamo preso come riferimento le fiere di settore, in particolare quelle organizzate dall’ex Ice, che ci rendevano riconoscibili all’estero grazie al Padiglione Italia. L’Italia è infatti da sempre considerata un Paese da cui provengono tanti prodotti agroalimentari di qualità in grado di soddisfare le esigenze di ogni tipologia di consumatore. Una volta introdotti, ciascuna azienda ha sviluppato propri contatti che le hanno consentito di tessere relazioni commerciali, secondo le diverse politiche aziendali».
E che cosa ne pensa delle altre misure di sostegno all’internazionalizzazione veicolate dal Ministero dell’Agricoltura e dello Sviluppo Economico, come quelle proposte da Ismea, Sace, Simest?
«Gli strumenti a sostegno dell’internazionalizzazione sono benvenuti e utili di qualsiasi matrice essi siano e vengono puntualmente utilizzati dalle nostre aziende. Certo, potrebbero essere di più ed eventualmente sottoposti a dei vincoli, ma ciò che deve essere superato al più presto è il metodo di erogazione che dovrà sempre più seguire l’evoluzione dei mercati e dei consumatori».
Per accedere sui mercati esteri occorre essere aziende molto solide e preparate. Come avete affrontato, come consorzio, queste criticità?
«Anzitutto va precisato che il consorzio non fa promozione commerciale ma sostiene le aziende, soprattutto quelle dimensionalmente più piccole, con un appoggio pratico per entrare in alcuni mercati, interessandosi della gestione più burocratica, come ad esempio quella concernente l’etichettatura o le documentazioni a volte richieste dai Paesi di destinazione. Anche i piccoli produttori, nonostante le dimensioni, anche grazie alle nuove generazioni hanno dimostrato di avere le capacità di guardare all’estero. Come consorzio continueremo a sostenerli nelle pratiche generali, facendo promozione al prodotto ma senza entrare nelle dinamiche commerciali».
Ci sono canali privilegiati da percorrere per arrivare all’attenzione estera, ad esempio l’HoReCa o la Gdo?
«Non c’è una strada unitaria in merito, ogni azienda ha fatto le sue scelte. C’è chi ha puntato sulla grande distribuzione, soprattutto i produttori più strutturati, e poi ci sono le imprese medie e piccole che hanno preferito affidarsi all’HoReCa dove, grazie alla possibilità di avere un contatto diretto con il distributore e spiegare meglio i prodotti di qualità medio-alta, viene riconosciuto anche un maggiore valore al prodotto».
E siete stati seguiti da qualche società di consulenza o avete fatto tutto da soli?
«Ogni azienda si è mossa seguendo criteri diversi».
Parliamo del Pnrr e delle attese delle aziende rispetto al tema dell’internazionalizzazione del Made in Italy. Che cosa vi aspettate?
«Vedremo. Al momento come consorzio e anche come produttori non siamo stati ancora informati sulla programmazione prevista per il nostro settore. Comunque oggi l’internazionalizzazione per noi non è più un problema, i nostri prodotti sono già sui mercati. Tuttavia abbiamo bisogno di dotarci di validi strumenti per valorizzare e far conoscere più a fondo l’Aceto Balsamico di Modena a livello globale. Ciò che ci aspettiamo con il Pnrr è la possibilità di compiere il salto di qualità, con risorse impiegabili per dare maggiori informazioni e diffondere la conoscenza, in modo che cresca in ogni consumatore la consapevolezza verso il prodotto originale e di conseguenza si possano verificare ricadute positive verso il settore».
I ministeri dell’Agricoltura e dello Sviluppo Economico vi hanno mai convocato per chiedere consigli utili, dal momento che state facendo uno splendido lavoro sul fronte dell’export?
«Al momento i due ministeri non hanno ancora coinvolto il consorzio. Anche se, con il 92% di prodotto esportato in oltre 120 Paesi, i titoli per avere voce in capitolo li avrebbe».