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Lavoro e politiche di genere: il report Inapp

Gender Policies Report Inapp

Il Gender Policies Report 2022 di Inapp offre importanti spunti di riflessione sui fattori di contesto del lavoro femminile e sulle dinamiche che caratterizzano la discriminazione retributiva.

 

di Franco Genovese

 

L’Inapp, Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, ha recentemente pubblicato il Gender Policies Report 2022, un’analisi approfondita sul mercato del lavoro in ottica femminile e che ha come focus le politiche di genere.

Il rapporto presenta i più recenti studi a livello nazionale ed europeo rispetto al tema delle differenze di genere all’interno del mondo del lavoro, proponendo contributi e suggerimenti sulle questioni più attuali per costruire politiche e interventi orientati a superare gli storici squilibri che segnano le differenze di partecipazione di donne e uomini al lavoro, anche attraverso il contributo del Pnrr.

Sono numerosi i problemi toccati dal rapporto Inapp, a partire dalle caratteristiche della partecipazione al lavoro di donne e giovani, al tema della cura e delle politiche di conciliazione vita-lavoro, al ruolo della trasparenza salariale quale elemento di superamento delle discriminazioni retributive, fino ad arrivare a nuove forme di discriminazione prodotte dagli algoritmi di analisi dei dati statistici.

Focus sulle diseguaglianze salariali

L’Inapp, che vanta un impegno trentennale nelle politiche per il lavoro e sulla parità di genere, ha voluto dare il suo contributo attraverso una puntuale disamina delle disparità retributive di genere. È qui infatti che si annida un grande problema strutturale difficile da contrastare, anche in ragione delle complesse dinamiche che lo alimentano. La partecipazione al mercato del lavoro è infatti fortemente influenzata da una gestione asimmetrica dei carichi di cura familiari e da storici fenomeni di segregazione occupazionale che obbligano la donna a un ruolo ancillare e subalterno. A caratterizzare il lavoro femminile vi è inoltre la forte incidenza dell’occupazione a tempo parziale, che è spesso involontario, accompagnato da discriminazioni dirette e indirette che determinano una forte disparità retributiva. I salari delle donne continuano così a essere generalmente inferiori a quelli degli uomini, in Italia come in tutti i Paesi europei, indipendentemente dai livelli di istruzione raggiunti, dai gruppi di età e dalle tipologie di impiego.

La cosa più interessante e anche più dolente del report Inapp è che gli effetti prodotti dalla sempre maggiore diffusione del divario retributivo di genere sono ancora poco noti alla comunità scientifica e dunque ancora lontani dall’essere attenzionati a livello politico. Le politiche europee, pur implementate e diffuse, come ad esempio la proposta di direttiva sulla trasparenza delle retribuzioni, possono contribuire a evidenziare alcuni d questi effetti ma potrebbero non essere sufficienti ad affrontarli. Tanto più che a queste problematiche di genere si intersecano altri fattori in grado di produrre ulteriori disuguaglianze economiche in cui povertà e genere si intersecano e dove le donne sono i soggetti potenzialmente più colpiti. Stiamo parlando dell’aumento dei tassi di povertà, del rilevante aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e delle materie prime che contribuiscono a produrre divari di genere e, dunque, a rallentare i miglioramenti nella parità.

Disoccupazione e inattività: la parola ai dati

Come ben evidenzia il report Inapp, recenti dati Istat (settembre 2022) mostrano tassi di occupazione differenziati per genere e ancora molto distanti, con il 69,5% occupati uomini contro il 51,4% di donne. Quindi con un gap di genere pari al 18%. Nel computo dei disoccupati le percentuali salgono ulteriormente: i tassi di disoccupazione femminile sono al 9,2% contro il 6,8% di quella maschile, mentre i tassi di inattività per le donne sono al 43,3 % contro il 25,3% degli uomini.

Il tema dell’inattività femminile risulta legato a doppio filo alle questioni inerenti la cura familiare, laddove l’incidenza percentuale della motivazione all’inattività è da rinvenire, per le donne, nella gestione degli adempimenti di cura all’interno della famiglia. Non per niente l’analisi dei dati Inps sull’andamento dei contratti attivati nel primo semestre 2022 mostra una crescita del lavoro femminile all’insegna della precarietà e della debolezza contrattuale, caratterizzato da un regime orario ridotto e conseguentemente da una minore redditività. Nel primo semestre dell’anno risultano attivati 4.269.179 contratti, di cui solo il 41,5% a donne. La quota di contratti stabili incide per il 20% su quelli maschili e solo per il 15% di quelli femminili. Resta ampia la quota di contratti a termine per entrambi, con una forte collocazione nel lavoro stagionale, nel lavoro a somministrazione e in quello intermittente.

Part-time, precarietà e lavoro domestico

Continua e si conferma inoltre la specificità femminile del lavoro part-time, anche come forma di ingresso al lavoro. Su tutti i contratti attivati a lavoratori donne il 49% è infatti a tempo parziale contro il 26,2 % dei contratti a lavoratori uomini. Ma il grossissimo problema resta quello relativo alla possibilità di conciliare i tempi di lavoro con i tempi della vita privata. L’analisi mostra quindi la fortissima rilevanza in termini di genere soprattutto perché interseca il tema della cura, da sempre fattore che incide sulle caratteristiche della partecipazione femminile nel mercato del lavoro.

Altro dato importante è quello relativo al lavoro domestico, che in Italia agisce come supporto alle famiglie le quali demandando il lavoro di cura a un soggetto esterno alla famiglia. Il punto è però che questo lavoro si configura come bacino occupazionale altamente femminilizzato ma al contempo caratterizzato da forti elementi di precarietà, alti tassi di lavoro sommerso e livelli salariali bassi. Vi è infatti una netta prevalenza della componente femminile tra gli occupati nel lavoro di cura e domestico, che è per il 60% di origine straniera, con un’età media in progressivo aumento e compresa tra i 45 e i 59 anni. Non stupisce il dato sull’età media delle lavoratrici domestiche dal momento che le tutele previste dalla normativa sulla maternità sono scarse e caratterizzate da assenza di congedi parentali, permessi per allattamento, congedi per malattia del figlio e assegno di maternità legato a una quota minima contributiva. Tutti elementi che scoraggiano pesantemente i propositi legati alla genitorialità. Inoltre, ampia è la fetta di lavoro sommerso che caratterizza il settore, si stima che 6 lavoratori o lavoratrici su 10 non abbiano alcuna formalizzazione contrattuale e di conseguenza alcuna tutela.

 

 

Per approfondire, consulta il Gender Policies Report 2022

 

 

 

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