La forza progettuale del Terzo settore è ancora ampiamente sottoutilizzata e manca la consapevolezza della sua capacità di attivare nuovi modelli di sostenibilità e partecipazione, così come previsto dal Pnrr. Di questo e molto altro parliamo con Paolo Venturi, direttore di Aiccon.
di Maria Luisa Romiti
Aiccon, Associazione italiana per la promozione della cultura della cooperazione e del non profit, è un centro studi promosso dall’Università di Bologna, dal Movimento cooperativo italiano e da numerose realtà italiane che si occupano di Terzo settore, finanza etica e non profit. Nel tempo è diventato un riferimento non solo in ambito formativo e accademico, ma si è posizionato come uno dei luoghi di pensiero più autorevoli sui temi legati all’economia civile.
L’associazione non interviene direttamente sui progetti del Pnrr, ma supporta le organizzazioni del Terzo settore e della cooperazione a cogliere le opportunità offerte dai bandi, attraverso un’azione di informazione e di stimolo all’innovazione e alla progettazione di alleanze con diversi attori. Ed è proprio sulle sfide, sulle opportunità da cogliere e anche sulle difficoltà da affrontare che il direttore Paolo Venturi ha risposto alle nostre domande.
Si parla tanto di coprogettazione e coprogrammazione nell’ambito degli interventi finanziati dal Pnrr e che coinvolgono il Terzo settore. E ci sono molte attese da parte degli enti non profit, che potrebbero beneficiare di risorse importanti proprio in una congiuntura particolarmente difficile della loro esistenza. Lei come vede la situazione?
«I bandi usciti non stanno valorizzando come dovrebbero la coprogettazione. Pur essendo prevista la possibilità di alimentare partnership, rimane molto timido il tentativo di includere i soggetti del Terzo settore e della cooperazione sociale nella progettualità di “infrastrutture sociali”, di servizi di cura, di progetti di rigenerazione e d’innovazione sociale. Manca la consapevolezza del valore peculiare del Terzo settore e della sua capacità di attivare nuovi modelli di sostenibilità e partecipazione. Troppa enfasi sui beni fisici e poco spazio ai beni relazionali. Mi aspetto un maggior coinvolgimento del Terzo settore e spero che i prossimi bandi siano più inclusivi e orientati all’impatto sociale».
Com’è applicabile la coprogettazione in iniziative come la rigenerazione, il riuso e quant’altro senza rinunciare all’esperienza e ai saperi genuini del Terzo settore?
«Rinunciare alla coprogettazione è un grosso errore, ma soprattutto va contro il principio di sussidiarietà che dovrebbe guidare tutti gli interventi orientati a generare servizi d’interesse generale. La coprogettazione è infatti un metodo che potenzia la sostenibilità dei progetti e la loro capacità di rispondere ai bisogni delle comunità. Il rischio è che si replichino modelli e strutture burocratiche lontane dai bisogni, con servizi standardizzati e con modelli organizzativi “a sportello”. Serve invece una nuova generazione di luoghi di prossimità con servizi personalizzati. Questo lo si può ottenere solo coinvolgendo l’impresa sociale e il Terzo settore».
Non c’è il rischio che la partecipazione degli enti del Terzo settore ai progetti sia alla fine del tutto ancillare e che non potranno avere poi tanta voce in capitolo, soprattutto perché sono un interlocutore debole, proprio perché quasi sempre finanziariamente bisognosi?
«Certo, c’è il rischio che il Terzo settore abbia un ruolo residuale o riparatorio. Un pericolo da scongiurare affinché le comunità possano essere realmente protagoniste e non appena oggetto dell’assistenza pubblica. Il Pnnr deve alimentare nuove “governance partecipate” per stimolare la contribuzione e il cofinanziamento di altri soggetti».
Crede che il Runts farà da selezionatore genetico per il vasto panorama del Terzo settore? Che cosa si guadagna e che cosa si perde?
«Il Runts è una grande innovazione giuridica che riconosce il valore e l’identità degli enti del Terzo settore. Chi non entrerà nel registro non sarà un’organizzazione di serie B e non perderà certamente la meritorietà di ciò che fa. In questo senso occorre che la legislazione, pur differenziando le diverse tipologie, sia inclusiva e massimamente valorizzatrice delle diverse identità. Infatti, molto del valore del non profit sta nelle migliaia di piccole organizzazioni culturali e sportive che abitano il territorio e che svolgono un ruolo importantissimo per le loro comunità».