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Un nuovo report sulla violenza economica di genere

Tre donne su dieci sono a rischio di esclusione sociale e finanziaria, ma rappresentano soltanto la punta di un enorme iceberg nascosto. Lo rivela il recente report di Global Thinking Foundation.

 

di Roberto Antiseri

 

Nuovo studio sulla violenza economica di genere da parte di Global Thinking Foundation, l’organizzazione non profit nata nel 2016 con lo scopo di promuovere l’educazione finanziaria, con una particolare attenzione all’uguaglianza di genere. Il report “La violenza economica di genere in Italia” è stato presentato nel corso dell’VIII edizione dell’evento annuale Women For Society ed è stato realizzato dalla fondazione insieme alla testata Roba da donne. Dall’indagine condotta su 1.396 persone di cui 1.365 donne, emerge il bassissimo grado di autonomia economica delle donne e la loro dipendenza dal contributo finanziario degli uomini o degli altri famigliari nelle proprie scelte di vita.

Dati apparentemente positivi

Lo studio ha mostrato che ben il 68,8% delle donne intervistate si dichiara economicamente indipendente, contro un 31,2% che dipende da partner o da un altro familiare. Questo dato può sembrare a prima vista piuttosto rassicurante, ma va raffrontato e poi ponderato con un altro dato, assai più significativo, che mostra la percentuale di donne che lavorano: in Italia sono solo il 55% a fronte di una media europea che supera il 70%. È evidente che il dato grezzo fotografa solo in parte una realtà ben più consistente, considerando anche il fatto che mancano all’appello le donne che non hanno accesso ai device, ai social o che non parlano l’italiano. Ma anche tutte quelle convinte che parlare di soldi sia sconveniente o poco femminile.

Grandi differenze territoriali

La survey online, realizzata tra giugno e ottobre 2023, ha raccolto le risposte provenienti da tutta Italia ed equamente distribuite sui diversi territori indipendentemente dall’età e dalla condizione sociale. Delle rispondenti complessive, ben il 52,3% appartiene alla fascia d’età compresa tra i 20 e i 35 anni, mentre il 44,2% è rappresentato dalle 36-65enni. Ma la cosa interessante è la distribuzione territoriale delle donne del campione: quasi il 60% è infatti residente al Nord Italia, mentre la restante percentuale è suddivisa tra il 22% circa del Centro e il 16% circa del Sud, con percentuali più alte nelle città di Roma e di Napoli. La ricerca evidenzia quindi una certa ritrosia del Centro-Sud a partecipare a una ricerca sociale così specifica, che può essere interpretata come disinteresse o minore consapevolezza sul tema, ma forse anche per una maggiore incidenza del peso di gerarchie sociali che combaciano peraltro con più alti livelli di disoccupazione femminile.

La bassissima cultura finanziaria

La survey fa emergere alcuni dati interessanti relativi all’approccio alla cultura finanziaria di base da parte delle donne del campione. Innanzitutto solo il 58% è titolare di un conto corrente personale: il 12,9% ne ha solo uno intestato con il partner o con altro familiare, mentre il 4,8 non ne possiede uno, neppure cointestato. Il dato è rilevante perché dimostra che ben il 17,7% del campione non ha un conto corrente personale. Per quanto riguarda la dimestichezza con altre competenze finanziarie, la ricerca evidenzia certa sfiducia negli istituti e nei consulenti finanziari: il 56,5% del campione non ha un piano di accumuli o investimenti in atto, i 49,6% non ha un’assicurazione intestata, mentre il 54,4% non ha un consulente finanziario di riferimento.

Tutte le decisioni inerenti i soldi vengono prese in famiglia insieme al partner in una percentuale compresa tra il 49,5 al 65,9% dei casi e laddove non sono prese insieme, le scelte inerenti le spese familiari ordinarie sono a carico principalmente della donna, mentre diventano di pertinenza dell’uomo quando si tratta di spese straordinarie o relative a scelte finanziarie, assicurative e di investimento. In ogni caso ben il 33,3% del campione non sa impostare un budget familiare o sa che cosa sia.

Il tabu dei soldi e gli stereotipi al lavoro

L’indagine ha evidenziato un altro dato piuttosto significativo che spesso è stato fatto emergere anche in altre ricerche simili: le donne hanno una certa riluttanza a parlare di soldi, sia in famiglia sia fuori. La resistenza a parlare di cose finanziarie con il partner viene infatti registrata nel 33% del campione, mentre con i figli il fenomeno sale al 52%, fino a toccare punte dell’85% con i colleghi. È evidente che l’argomento “denaro” viene giudicato piuttosto disdicevole e volgare da parte di molte donne e questo avviene quanto minore è il grado di intimità dell’interlocutore.

Gli stereotipi di genere lavorano in modo accelerato anche su un altro ambito culturale, quello relativo al ruolo posseduto in famiglia: infatti pensa che sia compito dell’uomo mantenere la famiglia ben il 92,12% del campione ed è inoltre giudicato normale che sia la donna a rinunciare al lavoro per i figli se questo può servire, per il 91,11% del totale.

Solo gli uomini possono lavorare?

Per quanto riguarda invece un altro topos caratteristico degli stereotipi di genere, quello relativo all’occupazione femminile, il percorso lavorativo viene giudicato più facile per gli uomini per il 94,4%. A parità di ruolo lavorativo, il 91,18% del campione crede che gli uomini guadagnino di più, mentre il 92,5% è convinto che, a parità di competenze, le aziende preferiscano i candidati uomini.

Infine, per quanto riguarda la percezione della violenza economica, la ricerca mostra tutta l’arretratezza culturale del panorama socio-economico italiano: solo il 13,9% dichiara di aver subito violenza economica, ben il 17,6% non sa esattamente che cosa sia, mentre il 67,6% pensa sia un reato e l’1% dichiara di sapere che cosa sia ma che non possa essere considerata violenza.

 

 

 

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