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Varato il Piano Transizione 5.0: tra opportunità e tante criticità

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Lanciato con l’obiettivo di accelerare la trasformazione digitale e sostenibile delle aziende, il Piano si inserisce nel contesto del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) mirato a modernizzare il tessuto produttivo italiano, favorendo l’adozione di tecnologie innovative e sostenibili

di Redazione

Il Piano Transizione 5.0, pubblicato il 6 agosto in Gazzetta Ufficiale e attivo dalle ore 12:00 del 7 agosto, rappresenta un’importante iniziativa per promuovere l’innovazione e la sostenibilità nelle imprese italiane. Tuttavia, l’attuazione del piano non è priva di sfide. Le tempistiche strette, i complessi requisiti di ammortamento e gli obblighi di risparmio energetico pongono serie difficoltà alle imprese, in particolare alle Pmi che potrebbero non disporre delle risorse necessarie per conformarsi alle nuove normative.

Le aliquote di ammortamento

Uno degli elementi più critici riguarda le aliquote di ammortamento dei beni. Secondo l’articolo 6 del decreto attuativo non sono ammissibili gli investimenti in beni che presentano aliquote di ammortamento inferiori al 6,5%. Questo criterio esclude numerosi beni strumentali che potrebbero essere fondamentali per la modernizzazione delle piccole e medie imprese (Pmi) limitando l’accesso ai benefici del piano. Molte attrezzature e tecnologie avanzate, soprattutto se con un ciclo di vita lungo, presentano un’aliquota di ammortamento inferiore al limite previsto e di conseguenza non possono essere finanziate tramite il Credito d’imposta specifico nonostante siano potenzialmente essenziali per la competitività, l’innovazione e l’efficienza operativa delle imprese.

L’articolo 6 sottolinea inoltre che le esclusioni riguardano anche i beni utilizzati per processi produttivi ad alta efficienza energetica se non raggiungono tale soglia minima di ammortamento. Questo contrasta con l’intento del Piano di promuovere la sostenibilità ambientale e la riduzione dei consumi energetici. Operativamente l’impossibilità di ammortizzare rapidamente i beni strumentali può portare le imprese a rinunciare a determinati investimenti, rallentando così il processo di innovazione e digitalizzazione. Paradossalmente questa restrizione potrebbe ridurre l’attrattività del Piano stesso e indurre le imprese a cercare altre fonti di finanziamento o incentivi che non presentino simili restrizioni.

Gli investimenti per il risparmio energetico

Il Piano pone una forte enfasi sulla sostenibilità richiedendo una riduzione minima dei consumi energetici del 3% per la struttura produttiva o del 5% per i processi interessati dall’investimento. Questi obiettivi sono chiaramente delineati nel Decreto attuativo il quale specifica che la riduzione dei consumi energetici è un prerequisito fondamentale per accedere alle agevolazioni fiscali previste dal piano.

Tali obiettivi di riduzione dei consumi energetici, sebbene importanti e necessari, possono essere particolarmente impegnativi per le imprese, specialmente per quelle che non dispongono delle risorse necessarie per implementare tecnologie avanzate. Per accedere alle misure quali il Credito d’imposta è infatti richiesto di aver già effettuato investimenti significativi per migliorare l’efficienza energetica delle strutture e dei processi produttivi inclusa l’adozione di nuove tecnologie, la ristrutturazione delle infrastrutture esistenti e l’introduzione di processi produttivi più efficienti1

Per far fronte a questa criticità economica stanno nascendo diverse azioni di supporto come quella del Gruppo BCC Iccrea. Per facilitare gli investimenti necessari, infatti, il Gruppo romano ha lanciato un plafond da 1 miliardo di euro destinato alle imprese clienti delle BCC. Questo fondo è mirato a supportare le aziende nel raggiungimento degli obiettivi del Piano offrendo finanziamenti tradizionali tramite la Capogruppo Iccrea e leasing strumentali attraverso BCC Leasing.

Le tempistiche

Nonostante i molti lati positivi e plausi generali per il lancio del Piano Transizione 5.0 stanno emergendo alcune voci critiche che sottolineano come, la tempistica prevista dal Piano possa addirittura dimostrarsi controproducente per le imprese. Franco Gussalli Beretta, presidente di Confindustria Brescia, ha espresso preoccupazioni ai media sottolineando diverse criticità che potrebbero ostacolare l’adozione da parte delle imprese. Le tempistiche per l’implementazione nelle aziende, ad esempio, sono considerate troppo strette, con un particolare riferimento all’articolo 9 che richiede un risparmio energetico. Secondo Beretta le aziende non sono pronte per soddisfare questi requisiti in così poco tempo e pochi dispongono già dei dati necessari per l’assestment richiesto.

L’incertezza sui criteri inerenti il risparmio energetico, ovvero su come determinare esattamente il risparmio richiesto, causano confusione. Inoltre le aziende, invece di accelerare gli investimenti, hanno rallentato per aspettare chiarimenti sui punti focali del finanziamento portando a una flessione nel settore degli impianti.

Beretta afferma che le aziende attualmente si trovano in una situazione nella quale sono solo parzialmente pronte, e che il prossimo anno sarà cruciale per recuperare il ritardo e garantire la capacità produttiva necessaria, poiché gli impianti devono essere completati e installati entro il 2025. Ciononostante, Beretta prospetta un’ulteriore criticità: le aziende che producono gli impianti avranno un’adeguata capacità di produzione per reggere la mole delle richieste?

Non cumulabilità

Il decreto attuativo del Piano Transizione 5.0 chiarisce che gli incentivi non sono cumulabili con altri sgravi fiscali, inclusi quelli delle zone economiche speciali (ZES). Questa misura è stata adottata per evitare che le agevolazioni superino il totale delle spese ammissibili unendo i due benefici. Il bonus ZES per regioni come Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, inizialmente del 60% e poi del 10,6% reale a causa dell’elevato numero di richieste (clicca qui) combinato con il Credito d’imposta del 45% per il Piano Transizione 5.0, avrebbe superato le spese ammissibili, rendendo la cumulabilità impraticabile.

Di fatto tale divieto di cumulabilità rimane una barriera significativa per massimizzare i benefici fiscali disponibili, contribuendo così a un rallentamento degli investimenti. Il rischio è una ritirata massiccia delle imprese dagli investimenti previsti aggravando la situazione economica delle regioni interessate. La necessità di rivedere le regole di cumulabilità e ampliare le risorse disponibili è quindi urgente per evitare ulteriori danni economici e sfruttare al meglio le opportunità offerte dai diversi incentivi disponibili.

  1. Negli investimenti ammissibili si distinguono in principali o “trainanti” e aggiuntivi o “trainati”. Gli investimenti “trainanti” devono portare a una riduzione dei consumi energetici della struttura produttiva del 3% o dei processi del 5%. Questi includono beni materiali nuovi, strumentali all’esercizio d’impresa e interconnessi al sistema aziendale, e beni immateriali come software per la gestione dell’energia e la digitalizzazione dei processi produttivi. Gli investimenti aggiuntivi agevolabili definiti come “trainati” invece includono beni materiali per l’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili (ad eccezione delle biomasse, e impianti per lo stoccaggio dell’energia prodotta), spese per impianti che devono essere localizzati sulle stesse particelle catastali della struttura produttiva o connessi alla rete elettrica della stessa, e attività di formazione sulle tecnologie per la transizione digitale ed energetica, con un limite del 10% degli investimenti complessivi e fino a un massimo di 300.000 euro. ↩︎

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“La nostra mission consiste nel dotare i lettori di un magazine in grado di decifrare il vasto mondo della gestione d’impresa grazie a contenuti d’eccezione e alla collaborazione con enti pubblici e privati.”

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