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Quelle puerili bugie sul reddito di cittadinanza

I dati Inps smentiscono l’imbarazzante litania sul reddito di cittadinanza che incoraggerebbe l’aumento degli scansafatiche. In realtà i contratti stagionali sono cresciuti moltissimo, facendo emergere con evidenza il lavoro sottopagato, prima invisibile.

di Franco Genovese

È da molti mesi che la polemica sul reddito di cittadinanza riempie le pagine dei giornali e le discussioni nei talk show. Fin dal suo varo, avvenuto nella scorsa legislatura, la misura ha incontrato subito moltissime critiche ed è stata accusata anche ultimamente di essere uno strumento «diseducativo e clientelare» (Salvini), un alibi per non «spaccarsi la schiena, come invece fecero i nostri nonni» (Renzi), se non addirittura di essere un vero e proprio «metadone di Stato» (Meloni). In mezzo a queste dichiarazioni ci sono anche le numerose intemerate di tanti esponenti del mondo industriale e produttivo che a più riprese hanno stigmatizzato la misura come un sussidio a nullafacenti che preferiscono un comodo assegno di Stato al duro e onesto lavoro. In realtà il Rdc non è stato pensato come un sussidio di tipo universalistico ma «una misura di inserimento o reinserimento nel mondo del lavoro e di contrasto alla povertà» che ha come principio ispiratore quello di aiutare economicamente chi si trova al di sotto della soglia di povertà secondo il calcolo Isee. Ma l’uso strumentale di questo argomento in senso mediatico ha fatto comodo per cavalcare il malcontento degli imprenditori in tempi di crisi e creare consenso politico in vista delle prossime elezioni.

Non si finisce mai di piangere

Ma è soprattutto con le riaperture postpandemiche di metà maggio e con l’approssimarsi dell’estate che la lamentosità degli imprenditori si è fatta più forte e aggressiva. Il più trito dei ritornelli era più o meno questo: con il reddito di cittadinanza non troviamo stagionali, i giovani non hanno più voglia di lavorare e diventano sempre più pigri. La difficoltà a trovare gli stagionali è stata denunciata a più riprese nel mondo della ristorazione come in quella dell’agroalimentare dove, come denunciava perfino il Governatore campano De Luca, «si fa fatica a trovarli negli stabilimenti balneari come nella raccolta del pomodoro». Ma tutta l’estate è stata punteggiata di interventi e interviste sui principali quotidiani, ospitate nelle trasmissioni televisive e nei telegiornali, lettere ai direttori di importanti esponenti di vari orientamenti politici e di ogni categoria produttiva, intenti a denunciare i danni provocati dal reddito di cittadinanza. L’ultima lagnanza in ordine di tempo è stata quella del presidente dell’associazione Albergatori della Provincia di Cuneo che sostiene che la «gavetta non è sfruttamento» e che è inutile frequentare l’Alberghiero se poi non si vuole lavorare nei festivi.

Se 142mila vi sembran pochi

Ma a smentire tutte queste frottole ci ha pensato l’Inps con il dato pubblicato a fine agosto relativo all’occupazione regolare di maggio, che dimostra come il numero di assunzioni durante l’avvio della stagione 2021 è lievitato in maniera sensibile rispetto agli altri anni. Sono stati infatti ben 142.272 i rapporti di lavoro stagionali regolarizzati, praticamente il doppio rispetto al 2017 e 50mila in più sia rispetto al 2018, anni in cui il reddito di cittadinanza non esisteva ancora. Si tratta della performance migliore degli ultimi otto anni e rappresenta la prova che il Rdc funziona benissimo nel fare emergere un sommerso che c’è ed è sempre più evidente. Il reddito di cittadinanza sembra aver introdotto nel sistema un elemento talmente imprevisto da aver spiazzato gli stessi imprenditori, avvezzi da sempre a sottopagare i dipendenti stagionali sfruttando un inesauribile esercito di riserva sul mercato del lavoro, con retribuzioni e tutele sempre più comprimibili. Insomma, laddove la povertà s’offre, la società compra.

In attesa dei dati Inps di giugno

Ma quella soglia così mobile e invisibile che segnava il limite tra sfruttamento e paga dignitosa è ormai stata inchiodata in maniera salda dall’introduzione del reddito di cittadinanza. Definendo così un nuovo livello di contrattazione al di sotto del quale diventa più difficile creare competizione tra lavoratori ed esercitare pressione sui salari offerti. E mentre gli imprenditori iniziano a comprendere che nel fare impresa è incluso anche il dover pagare correttamente i propri dipendenti (e non sfruttarli), alla grandissima platea di disoccupati e inoccupati si offre quantomeno un appiglio finalmente serio al mercato del lavoro. Un sostegno passivo e perfettibile, certamente. Ma che intanto c’è.

 

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