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La non-sostenibilità del lavoro femminile in Italia

Scende l’occupazione femminile, con alti tassi di abbandono del lavoro da parte delle lavoratrici madri e l’emergere di enormi ostacoli culturali, come riporta la ricerca Nodus.

 

di Giovanna Meridiano

 

La parità di genere è uno degli obiettivi chiave dell’agenda Onu per lo sviluppo sostenibile entro il 2030. In questo contesto l’interazione tra economia e società crea un ambiente in cui la sostenibilità richiede che siano soddisfatti alcuni requisiti di base, come le politiche paritetiche di avanzamento di carriera, l’equità salariale e di accesso alla formazione. Le cose sembrano andare in questo senso in Italia, primo Paese dell’Unione europea per numero di imprenditrici e lavoratrici autonome, come indicato da un report presentato durante la Convention del Movimento Donne Impresa di Confartigianato. Nonostante le sfide economiche e le incertezze geopolitiche, infatti, l’occupazione in Italia sta mostrando una tendenza positiva trainata principalmente dalle donne. Prendendo in considerazione diversi studi statistici del primo trimestre 2023 l’occupazione è aumentata del 2,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con un aumento del 2,9% per le donne e dell’1,8% per gli uomini. Questo supera la media dell’Ue e altri Paesi europei come la Francia e la Spagna.

Le donne sono infatti cruciali anche nel recupero dell’occupazione indipendente, contribuendo all’81,7% dell’incremento degli occupati indipendenti nell’ultimo anno. Tuttavia il tasso di abbandono del lavoro tra le donne lavoratrici è del 19%, principalmente a causa delle responsabilità di cura dei figli. Le barriere per le madri lavoratrici includono la mancanza di servizi per le famiglie, ritardi culturali, politiche attive parzialmente efficaci, pay gap di genere, asimmetria dei ruoli nelle coppie e pregiudizi culturali diffusi. Inoltre le donne lavoratrici hanno spesso contratti precari, lavori part-time involontari o lavori non regolari.

Gap incolmabili

Nel dettaglio, il part-time involontario riguarda il 17% delle donne, e il pay gap di genere è del 16%. Dopo due anni dalla maternità, una lavoratrice guadagna dal 10% al 35% in meno rispetto a quanto avrebbe guadagnato senza figli. La maggior parte delle donne intervistate vuole lasciare il lavoro, e l’80,8% di loro lavora a tempo pieno. Oltre il 95% delle intervistate svolge più del 50% del lavoro di cura familiare, evidenziando una forte asimmetria dei ruoli nelle coppie.

L’occupazione femminile è più alta nelle Regioni con una maggiore spesa pubblica per asili nido e servizi di supporto alle famiglie. Le Regioni del Nord superano di gran lunga quelle del Sud in termini di occupazione femminile, principalmente a causa della differenza nella spesa pubblica per i servizi di supporto alla genitorialità. Le principali Regioni italiane che registrano un aumento significativo dell’occupazione femminile sono Veneto, Lombardia, Lazio, Piemonte, Toscana e Emilia-Romagna mentre nel Mezzogiorno si registra il tasso di occupazione femminile tra i più bassi in Europa.

Tali dati evidenziano che non esiste una correlazione lineare tra un basso tasso di occupazione femminile e tassi di natalità più alti in Italia. Al contrario l’Italia ha tassi di natalità notevolmente bassi, ben al di sotto delle medie europee, mentre Paesi come la Francia e la Germania mantengono tassi di natalità stabili e significativamente più alti, con un’occupazione femminile del 70,8% in Germania e del 60,9% in Francia.

La ricerca Nodus

Una ricerca significativa è quella del Centro Studi Nodus sul ruolo della donna nel mondo del lavoro, alla luce dell’impattante evoluzione della remotizzazione della prestazione lavorativa. Il documento menziona un obiettivo del Piano nazionale di ripresa e resilienza riguardante l’aumento dell’occupazione femminile del 4% entro il 2026, passando dall’attuale tasso di occupazione femminile di circa il 50% al 54%. A marzo 2023 i dati dell’Istat mostrano un notevole aumento dei tassi di occupazione, con un record di occupati che non si verificava dal 2004, portando il tasso complessivo di occupazione al 60,8%. Anche il tasso di occupazione femminile sembra migliorare, con una media del 50,8% nei primi 9 mesi del 2022.

Il periodo pandemico, però, ha avuto un impatto negativo sull’occupazione femminile in Italia, con un aumento del tasso di abbandono del lavoro da parte delle lavoratrici madri, creando una situazione di impoverimento culturale, sociale ed economico senza precedenti in Europa. Lo studio menziona un campione di oltre mille madri con figli minorenni, lavoratrici e non lavoratrici, distribuite su tutto il territorio nazionale. Sebbene questo campione non sia rappresentativo dell’intera realtà italiana e non abbia una vocazione statistica, ha fornito alcune tendenze significative sulla situazione delle madri in Italia.

Il rapporto “Le Equilibriste 2020 e 2021: la maternità in Italia” di Save the Children ha poi evidenziato come la condizione delle donne, in particolare la conciliazione tra lavoro retribuito e lavoro di cura, si sia aggravata durante i due anni di pandemia, causando un aumento del tasso di abbandono del lavoro tra le madri. Questo fenomeno ha avuto gravi conseguenze culturali, sociali ed economiche e rappresenta una sfida significativa per l’Italia.

Gli ostacoli culturali

Il rapporto Nodus evidenzia che fin dall’infanzia si tende a utilizzare un linguaggio differenziato quando ci si rivolge ai figli maschi e femmine, contribuendo così a creare forti differenze di genere che possono influenzare le scelte future delle donne. L’asimmetria dei ruoli nella coppia, la disparità nel lavoro domestico e nella cura dei figli rappresentano il cuore della questione culturale. Per affrontare questi problemi lo studio suggerisce che sia necessario promuovere l’uguaglianza di genere sin dalla prima infanzia e nell’ambito scolastico. Viene menzionato per esempio il fatto che in Italia manca una legge che regoli la presenza del fasciatoio nei bagni pubblici, il che contribuisce a mantenere gli stereotipi di genere. Cambiare questa pratica richiederebbe azioni concrete, come garantire la presenza di fasciatoi accessibili a entrambi i sessi nei bagni pubblici. Anche l’estensione del congedo di paternità obbligatorio, come avviene in Spagna, rappresenterebbe un passo importante verso una maggiore parità di genere e una trasformazione culturale. Tale misura potrebbe contribuire a promuovere una maggiore simmetria nei ruoli all’interno delle coppie.

Il documento menziona infine l’assegno unico e universale in vigore in Italia dal marzo 2022 come un sostegno economico per le famiglie con figli a carico. Tuttavia si sottolinea che gli importi possono essere relativamente limitati rispetto alle esigenze delle famiglie, ma rappresentano comunque uno sforzo per sostenere economicamente le famiglie con bambini.

Le politiche per ridurre il divario di genere

I risultati dell’indagine dimostrano che l’Italia deve affrontare l’emergenza del declino demografico con misure più efficaci e rapide rispetto a quelle attualmente in atto. Sebbene la legge Golfo-Mosca del 2019 imponga una quota del 40% di donne nei consigli di amministrazione, la percentuale reale di donne in posizioni di responsabilità nelle imprese italiane rimane molto bassa. Nonostante il progresso nelle nomine nei Cda, le donne hanno ancora una presenza molto limitata nei ruoli di vertice, come Ceo, Cfo e Coo.

Come riporta Nodus, uno studio dell’Università Bocconi ha messo in evidenza che […]

 

Puoi continuare a leggere gratuitamente quest’articolo a pagina 86 dell’ultimo numero cartaceo di Acta non verba.

 

 

 

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“La nostra mission consiste nel dotare i lettori di un magazine in grado di decifrare il vasto mondo della gestione d’impresa grazie a contenuti d’eccezione e alla collaborazione con enti pubblici e privati.”

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