La situazione emersa dalla pubblicazione dei dati Istat sul censimento delle istituzioni non profit
La recente pubblicazione (lo scorso 18 aprile) dei dati definitivi del Censimento permanente delle istituzioni non profit da parte dell’ISTAT consente di esprimere alcune valutazioni di fondo circa lo stato dell’arte e le dinamiche evolutive del non profit in Italia. I dati, infatti, evidenziano il dinamismo e la costante crescita del settore. Si tratta di una crescita che riguarda non solo il numero complessivo di soggetti non profit operanti nel nostro Paese, ma che riguardano anche la progressiva professionalizzazione dell’intero settore. L’analisi dei dati consente almeno 3 riflessioni utili a comprendere lo stato di salute del non profit in Italia.
Il confronto con il 2015
La prima riguarda la crescita dimensionale. Il confronto con i dati del 2015 evidenzia infatti un aumento del 7,24% del numero di organizzazioni non profit attive in Italia. Addirittura, se si considera come intervallo temporale l’ultimo ventennio, il numero complessivo di istituzioni non profit è aumentato di oltre il 53%. L’incremento del numero di organizzazioni non profit ha avuto dimensioni maggiori (+11,39%) nelle regioni del Sud e nelle Isole rispetto al resto del territorio nazionale. In questo modo è stato possibile ridurre parzialmente il gap nei confronti delle regioni del Nord. Questo gap, tuttavia, è ancora estremamente rilevante: delle 360.625 organizzazioni censite, infatti, oltre la metà (50.36%) sono localizzate nelle regioni del Nord Est e del Nord Ovest e solo il 27,52% nel Sud e nelle Isole.
L’occupazione
Le seconda riflessione riguarda il processo di professionalizzazione del settore. Contestualmente all’aumento del numero di organizzazioni è aumentato del 13,4% il numero totale di dipendenti retribuiti, a fronte della riduzione del 16,49% del numero di volontari. Se è vero che gli oltre 4,6 milioni di volontari censiti rappresentano una risorsa fondamentale per il perseguimento delle finalità sociali e/o umanitarie di numerose organizzazioni non profit, è altrettanto vero che la capacità complessiva di occupare quasi 900.000 addetti (105.000 on più rispetto al 2015) è un indice della progressiva adozione, da parte delle organizzazioni non profit, di modelli organizzativi e gestionali più strutturati, indicativa anche della capacità di generare occupazione, soprattutto per i giovani, da parte di un settore che nel 2001 contava appena 490.000 addetti.
La criticità
La terza e ultima riflessione riguarda i processi di digitalizzazione. Questo aspetto rappresenta ad oggi ancora un elemento critico, che costituisce il principale limite ai processi di crescita e di consolidamento della propria capacità competitiva da parte di molte istituzioni non profit. Solo il 79,5% di esse, , infatti, dichiara di aver utilizzato nell’ultimo anno almeno una tecnologia digitale nell’esercizio delle proprie attività. In particolare, tra le principali cause alla base del mancato utilizzo di tali tecnologie, oltre alla carenza di risorsa finanziarie, si riscontrano la mancanza di personale qualificato (anche tra i volontari); la scarsa cultura digitale interna e l’assenza di processi organizzativi atti a valorizzare il potenziale contributo delle tecnologie digitali. Appare perciò evidente come sia proprio il tema della maturità digitale la chiave per lo sviluppo delle imprese non profit in Italia. Es appare altrettanto evidente l’esigenza di orientare ulteriormente l’attività di finanziamento delle imprese non profit – a livello nazionale ed europeo – per sostenere progetti a supporto della digitalizzazione, partendo proprio dall’aumento della cultura e della consapevolezza circa il ruolo che le tecnologie digitali possono assumere nel potenziare la competitività e il successo delle imprese non profit.
di Antonio Nastri