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Più parità salariale tra donne e uomini

In Campania una coraggiosa legge promuove la parità retributiva tra i generi accompagnando le donne in interessanti percorsi di autonomia e libertà.

di Roberta Morosini

La Regione Campania ha approvato una legge regionale sulla parità salariale tra donne e uomini, un passo importante verso le richieste europee. Ne parliamo con Monica Buonanno, esperta di politiche attive del lavoro, dipendente di Anpal Servizi, partner di progetto del Forum Disuguaglianze e Diversità, già assessora alle Politiche Sociali E al Lavoro del Comune di Napoli, vincitrice del premio “Donne che ce l’hanno fatta”, degli Stati Generali delle Donne e Stati Generali delle Donne Campania.

Il Consiglio regionale della Campania ha la sua legge per la parità salariale. Come ci si è arrivati?
«L’approvazione della legge regionale della Campania 17/2021 “Disposizioni per la promozione della parità retributiva tra i generi, il sostegno dell’occupazione e dell’imprenditoria femminile di qualità, nonché per la valorizzazione delle competenze delle donne” ha avuto un iter molto interessante in quanto è stata oggetto di partecipazione ampia e di condivisione di intenti tra la Regione Campania, le organizzazioni sindacali, Anpal Servizi, la consigliera regionale di Parità, la delegata del Presidente della Giunta regionale per le pari opportunità. Ma da sottolineare è stata la partecipazione della Commissione regionale e del Consiglio tutto. Lo evidenzio perché rappresenta l’interesse del territorio verso un tema particolarmente caldo, vuoi per la nuova programmazione europea vuoi per il Pnrr, che assegnano alla parità di genere un valore estremamente alto. L’iter non è stato particolarmente lungo, ma rappresento che si è trattato di un lavoro partito dall’analisi dello scenario sociale ed economico nazionale e locale. Si è partiti dalla consapevolezza che una buona analisi di scenario, con dati aggiornati e corretti, è il miglior punto di partenza per un argomento così delicato, di cui spesso si parla ma spesso sono assenti elementi di approfondimento e aggiornamento».

È una buona Legge?
«Direi assolutamente sì, non solo perché affronta appunto un tema delicato e particolarmente attenzionato, ma perché lo affronta proponendo non solo un impianto normativo forte ma anche una serie di soluzioni di riduzione del divario di genere. La Campania è la terza regione italiana ad approvare una norma di questo tipo dopo il Lazio e la Puglia».

I dati sull’occupazione femminile mostrano ancora notevoli divari tra Nord e Sud, questa legge può fornire un impulso utile a colmare i divari esistenti?
«Ritengo che la legge regionale 17/2021 sia davvero una buona pratica, non solo normativa ma di politica del lavoro, perché partendo dal contesto si snoda attraverso possibili soluzioni, dettando un indirizzo ben preciso, ovvero accompagnare le donne nei percorsi di autonomia e libertà. In Campania il tasso di disoccupazione raggiunge il 17,2% e quello femminile sfiora il 19%. Ancor più preoccupante dal mio punto di vista è il tasso di inattività che nel complesso è del 49,7%, ma per le donne arriva al 63,7%. Un dato più che preoccupante che chiama tutti a una responsabilizzazione seria e rapida».

Quali sono le previsioni per i prossimi anni riguardanti l’occupazione femminile in Campania?
«L’ultima nota flash Istat sul mercato del lavoro pubblicata il 13 dicembre riporta che, dal lato delle imprese, nel terzo trimestre 2021 prosegue la crescita della domanda di lavoro. In termini congiunturali, le posizioni totali aumentano dell’1% nell’industria, con una crescita lievemente superiore della componente a tempo pieno (+1%) rispetto alla componente a tempo parziale (+0,7%). Nei servizi privati la crescita delle posizioni totali risulta più marcata (3,6%,) con un aumento sostenuto di entrambi le componenti, pari a 3,4% per full time e a 3,8% per part time. Significa che stiamo assistendo a un minimo di ripresa postpandemica. Sappiamo, allo stesso tempo, che nei primi sei mesi del 2021, il 35% delle nuove assunzioni di lavoro sia stato part-time, spesso involontario, e soprattutto per le donne, per il 49,6% delle quali i nuovi contratti sono stati a tempo parziale contro il 26,6% degli uomini. Per la Campania mi auguro innanzitutto che si possa parlare di crescita strutturale, che lo sviluppo sia legato a investimenti importanti, duraturi e che creino occupazione di qualità. Non ultimo anche grazie alle azioni previste dalla legge 17/2021, auspico un ridimensionamento del gap uomo/donna, che è un gap non solo economico, ma culturale».

Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza c’è molta attenzione riguardo la disparità di genere presente nel nostro Paese, lei pensa che sarà sufficiente?
«Nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza l’Italia ha inteso rivedere il paradigma lavoro – occupazione – donne – sviluppo e tra le misure maggiormente suscettibili di impatto più diretto sull’occupazione femminile ritroviamo la creazione di un Sistema nazionale di certificazione della parità di genere, con l’obiettivo di incentivare le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il divario di genere in tutte le aree che presentano maggiori criticità, la promozione dell’imprenditoria femminile, allo scopo di incrementare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e il potenziamento delle politiche attive del lavoro che contribuiranno, tra l’altro, a ridurre il numero di Neet, fra i quali si registra un significativo divario di genere. Ma ci tengo a sottolineare l’importanza della trasversalità prevista dal Pnrr, ovvero quel necessario e voluto tratto di integrazione tra le Missioni, e quindi tra le azioni. È proprio questa trasversalità che mi fa sperare nel buon esito degli interventi del Pnrr, cioè quella visione integrata tra azioni, servizi e misure che accompagna le donne verso il lavoro. Mi riferisco ad esempio all’innalzamento del tasso di presa in carico degli asili nido, al potenziamento dei servizi educativi dell’infanzia (3-6 anni) e all’estensione del tempo pieno a scuola così come all’attivazione di housing sociale, sia di carattere temporaneo, che definitivo».

Si tratta di tante azioni…
«Certamente. E si tratta di affrontare le politiche del lavoro in modo diverso, assegnando loro un ruolo fondamentale ma abbinandovi servizi e misure di sostegno e di accompagnamento per l’alleggerimento dei carichi di cura che, per cultura e per stereotipi, in Italia sono ancora di competenza quasi esclusiva delle donne. Per far sì che il lavoro sia effettivamente la leva per l’autonomia delle donne, è necessario anche ripensare organicamente alle infrastrutture sociali (case rifugio, centri antiviolenza, asili nido, housing sociale, scuole, strutture per anziani, ndr). Siamo sulla strada giusta, da pochi giorni è stato pubblicato il Piano operativo per la presentazione di proposte di adesione agli interventi di cui alla Missione 5 “Inclusione e coesione”, componente 2 del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che prevedono progettualità per l’implementazione di tre tipi di investimento. Vale a dire l’1.1 “Sostegno alle persone vulnerabili e prevenzione dell’istituzionalizzazione degli anziani non autosufficienti”, l’investimento 1.2 “Percorsi di autonomia per persone con disabilità”, e l’investimento 1.3 “Housing temporaneo e stazioni di posta”. Contemporaneamente il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali ha firmato il decreto di adozione del Piano nazionale nuove competenze. Tra i tre programmi guida inseriti nel Piano nazionale nuove competenze è inserito il Programma Gol, che vede tra i beneficiari prioritari le donne e i giovani».

Che cosa deve cambiare nel nostro Paese affinché alle donne venga riconosciuto un valore pari a quello degli uomini, anche in ambito lavorativo?
«Lo slogan “bloccare l’emarginazione femminile” non può essere ridotto solo a un retorico esercizio di stile, come se si trattasse di concedere a una minoranza diritti altrimenti lesi. Ridurre il divario di genere è una precisa responsabilità collettiva, cui ognuno per il proprio ruolo è tenuto a rispondere. Non è un costo, ma un reale investimento per il Sistema Paese, sia dal punto di vista economico che sociale. Ma dobbiamo essere convinti tutte e tutti che il vero cambiamento passa da una rivoluzione culturale, ovvero dal passaggio da una cultura al maschile che si riverbera nel mondo del lavoro, a una cultura egualitaria, che non vede “politiche di genere” ma politiche per le persone, a misura di donne e uomini. Si tratta di un massiccio investimento di promozione della cultura di parità, cui affiancare in modo robusto e convinto gli interventi previsti dalla programmazione europea e nazionale, a iniziare dal Pnrr, dal programma Gol, dal Pon Fse+. Un’ultima considerazione: Le politiche del lavoro non dovrebbero avere genere e il fatto che le donne non lavorino o lavorino poco e male è di certo anche “roba da uomini”».

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