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Occasione storica per modificare il modello di sviluppo

Massimiliano Smeriglio

La lunga egemonia neoliberista si è dimostrata del tutto inefficace nel superare le crisi del passato. È finalmente giunta l’ora di progetti sociali ed economici lungimiranti, con proiezioni a lunga gittata per il futuro di tutta l’Europa.

di Roberta Morosini

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, è stato inviato a Bruxelles il 30 aprile. È un piano ambizioso, attraverso il quale, secondo le parole del Presidente Draghi, poter fare dell’Italia un Paese più moderno, all’interno di un’Europa più forte e solidale. Un passo fondamentale verso la condivisione europea di rischi e opportunità, che apre le porte a una riposta comune alla crisi generata dalla pandemia per ripensare il futuro delle cittadine e dei cittadini europei. Un’occasione storica per modificare il modello di sviluppo. Ne parliamo con Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della Regione Lazio tra il 2013 e il 2019, attualmente eurodeputato, membro della Commissione per la cultura e l’istruzione del Parlamento Europeo.

Lei, da italiano a Bruxelles, pensa che questo piano possa davvero cambiare il nostro Paese?
«
Penso che si tratti di un’opportunità storica. Per la prima volta si è stabilito dall’Unione un modello di cofinanziamento tra Europa e Stati nazionali per sostenere la spesa pubblica e le riforme. Un passo fondamentale verso la condivisione europea di rischi e opportunità, che apre le porte a una risposta comune alla crisi generata dalla pandemia per ripensare il futuro delle cittadine e dei cittadini europei. Un’occasione storica per modificare il modello di sviluppo».

È sempre stato sicuro che saremmo riusciti a consegnarlo in tempo?

«Le scadenze tecniche, specie per questioni che implicano una convergenza tra le politiche di Stati diversi, devono necessariamente essere rispettate. Perdere un’occasione come quella del Ngeu è semplicemente impensabile. È chiaro che il dialogo sulle riforme non si esaurisce qui e ora, ma proseguirà nei prossimi mesi. Per ora è importante avere chiari misure e obiettivi».

Da molte parti si dice che il Piano non sia mutato di molto dalla bozza presentata da Conte il 12 gennaio. Lei cosa ne pensa?

«È evidente che il tempo a disposizione fosse limitato e non ci si potesse aspettare di riscrivere il Piano da zero. D’altra parte il governo Conte aveva già lavorato lungamente sul programma. Draghi stesso, nel suo discorso di insediamento, aveva parlato di “approfondire e completare quel lavoro”, non di stravolgerlo. È aumentata la quota di fondi investiti in nuovi progetti, così come i finanziamenti a istruzione e ricerca, dato di cui mi ritengo soddisfatto. Ma non ci sono, e non avrebbero potuto esserci, cambiamenti sostanziali. Salvo, a mio avviso, rafforzare le linee su transizione ecologica ed economia circolare».

Pensa siano sufficienti le misure adottate dall’Europa per fronteggiare la crisi?

«Penso che si tratti di una risposta straordinaria a una crisi straordinaria. Un messaggio molto chiaro da parte dell’Europa, che c’è e che mette a disposizione le risorse necessarie a migliorare la vita delle persone. Penso che siano misure sufficienti se saremo in grado di realizzarle con coraggio e con determinazione, mettendo al centro gli interessi diffusi dei cittadini e ripensando il modello di sviluppo a partire dai quattro pilastri indicati dalla presidente Von der Leyen: transizione ecologica, innovazione digitale, inclusione sociale e sanitaria, conoscenza».

La questione Erdogan – Von der Leyen, ma anche la contrattazione sui vaccini, sembrano mettere in luce la debolezza delle istituzioni europee, come se la Commissione non fosse in grado di rappresentarsi come unione di tutti gli Stati membri e, mi passi il termine, non le fosse riconosciuta l’autorevolezza politica che tutti gli europeisti si aspetterebbero. Quali sono i motivi?

«L’incidente di Ankara era decisamente evitabile e ha prodotto un danno innegabile alle istituzioni comunitarie e ai valori comuni dell’Ue, non da ultimo perché si è verificato di fronte a un capo di Stato che non rispetta lo stato di diritto e viola i diritti del popolo curdo, delle donne, della comunità Lgbt e degli studenti. Non dobbiamo e non possiamo prestare il fianco a leader autoritari e antidemocratici. Pure sulla contrattazione sui vaccini sicuramente si poteva fare meglio: si poteva agire in modo più incisivo e trasparente. Ma si è trattata di una situazione a un tempo di incertezza e urgenza. Io credo che il cammino che l’Ue sta intraprendendo, con i finanziamenti al Covax, come pure con le discussioni di questi giorni sulla sospensione dei brevetti, sia quello giusto per garantire un accesso globale e gratuito ai vaccini. Il segnale di Biden, in questo senso, è potentissimo».

Pensa che il Pnrr sia in grado di rafforzare l’Europa come comunità o rischia di indebolirla?

«Io sono convinto che il Next Generation EU nel suo complesso, e cioè tra il Dispositivo per la ripresa e la resilienza (Rrf) e il Pacchetto di assistenza alla Ripresa per la coesione e i territori d’Europea (React-Eu), sia uno strumento ambizioso dalle enormi potenzialità. Potenzialità che riguardano anche il futuro dell’Unione, e in particolare la convergenza tra gli obiettivi degli Stati nazionali e quelli comunitari, che coincidono nella misura in cui sapranno affrontare i problemi di tutte e tutti, a partire dalle difficoltà economiche e sociali che questa crisi ha solo esasperato. Se saremo in grado di elaborare una strategia comune lungimirante, che metta in campo un progetto di redistribuzione e sovvenzioni, con forme accentrate di coordinamento, io penso che l’Ue potrà uscirne straordinariamente rafforzata. La lunga egemonia neoliberista si è dimostrata inefficace nel superamento delle crisi del passato. Ora finalmente ci accorgiamo che un’Europa alternativa esiste, perché esiste un modo alternativo di essere nel mondo».

Le istituzioni europee mostrano fiducia nei confronti dell’Italia?

«Io non credo che l’intervento salvifico di Draghi sia di per sé sintomatico di un’interlocuzione più diretta con Bruxelles. Ho grande stima di Draghi e del suo percorso professionale, così come spero che questo governo sappia mettere a frutto efficacemente le risorse che arriveranno. Ma il discorso della fiducia dell’Ue nei confronti di uno o dell’altro Stato membro mi pare superato. L’Italia esiste in Europa e l’Europa esiste con l’Italia: la fiducia è reciproca tra gli Stati e con le istituzioni. Dobbiamo imparare a ragionare come europei, come parte integrante e attiva di un progetto comune e solidale»

La cosa che nel Piano manca e che lei, più di tutte, avrebbe voluto, qual è?

«Parlare di misure concrete, in questa fase, è difficile. In generale, il Piano è un insieme di linee guida. Non voglio dire che mi sarei aspettato indicazioni esatte sulla ripartizione delle risorse, sulle tempistiche, o sulla valutazione dei costi, però l’efficacia della programmazione e della spesa potrà essere valutata solo in un secondo momento. Io mi auguro che saremo in grado di fare scelte di rottura che assicurino un cambiamento nel lungo periodo, e che tutto questo non rimanga un intervento solo emergenziale. La sospensione del Patto di stabilità insieme alla lotta alle disuguaglianze devono diventare obiettivi permanenti della nuova Europa».

 

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