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Lavoro in Italia, tra fabbisogni occupazionali e spinte del Pnrr

Nei prossimi cinque anni l’Italia avrà bisogno di circa 3,8 milioni di lavoratori, specie nel commercio e turismo, nella formazione e nella cultura. Tra sostituzioni fisiologiche di lavoratori e nuovi occupati ecco come cambierà il mercato del lavoro secondo Unioncamere.

 

di Andrea Ballocchi

 

Il mercato del lavoro in Italia è destinato a significativi cambiamenti. Nel quinquennio 2023-2027 le imprese e la Pa avranno bisogno di circa 3,8 milioni di lavoratori, il 72% dei quali (2,7 milioni) sostituiranno gli occupati in uscita dal mercato del lavoro; il milione restante di lavoratori sarà determinato dalla crescita occupazionale. Le stime sono di Unioncamere che ha pubblicato di recente il rapporto annuale sulle “Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine”.

Sul totale dei 3,8 milioni di lavoratori, più di un milione riguarderà il Sud Italia, con la Campania protagonista (284mila lavoratori). Sostenibilità e digitalizzazione saranno inoltre due tendenze forti che caratterizzeranno i prossimi anni e che saranno innescate dal Piano nazionale di ripresa e resilienza destinato a essere tra i fattori determinanti per la crescita dell’economia e dell’occupazione. Saranno quattro le filiere in cui dovrebbe essere concentrato circa il 70% del flusso di occupati attivati grazie agli investimenti del Pnrr: costruzioni e infrastrutture (21%), turismo e commercio (18%), servizi avanzati (16%), formazione e cultura (13%).

Transizione digitale e verde (che comprende anche la transizione energetica) sono inoltre due degli obiettivi più importanti del Piano nazionale: si riflette anche nella richiesta di competenze. Nei cinque anni considerati il possesso di competenze green con importanza almeno intermedia sarà richiesto a poco meno di 2,4 milioni di lavoratori (il 65% del fabbisogno del quinquennio) e con importanza elevata a più di 1,5 milioni di persone (oltre il 41% del totale). Le competenze digitali saranno richieste a poco più di 2 milioni di occupati.

Il ruolo della transizione digitale, verde e demografica e il peso del Pnrr

Ci sono altri aspetti interessanti che emergono dal documento di analisi. Intanto sono individuati tre megatrend che corrispondono alle transizioni in atto: la transizione digitale, la transizione ambientale e la transizione demografica. «Si tratta di trasformazioni che influenzeranno profondamente la società sotto diversi aspetti e, soprattutto, la struttura occupazionale nel prossimo futuro», segnala Unioncamere nel suo documento. Le macrotendenze illustrate brevemente si intersecano con due grandi shock: pandemia e conflitto tra Russa e Ucraina. In seguito allo shock pandemico è stato approvato nella prima metà del 2021 il Pnrr, che sarà nei prossimi anni tra i fattori determinanti per la crescita dell’economia e dell’occupazione.

Il flusso di investimenti generati grazie al Piano nazionale potrà avere sensibili riflessi nell’espansione della domanda di lavoro. Anche grazie al Pnrr si stima un incremento del numero di occupati che potrà variare tra 1 milione di unità (nello scenario più roseo) e 675mila (in quello più negativo) nel periodo 2023-2027, consentendo di ritornare ai livelli occupazionali preCovid del 2019 nel 2023 in entrambi gli scenari, positivo e negativo.

A proposito del totale del fabbisogno, tra sostituzione di chi andrà in pensione e nuovi posti di lavoro, si osserva che i dipendenti privati copriranno più della metà (57% circa) gli indipendenti poco più del 23%, mentre il peso del comparto pubblico si attesterà a poco meno del 20%. Nel quinquennio considerato, circa tre quarti della domanda di occupati sarà espressa dai settori dei servizi (oltre 2 milioni e 880mila unità), mentre la richiesta dell’industria ammonterà a oltre 800mila occupati (circa il 21% del totale). La restante quota di fabbisogno sarà appannaggio dell’agricoltura (circa 110mila unità, cioè il 3%).

Lavoro in Italia: buone notizie per commercio e turismo, formazione e cultura

Dall’analisi delle filiere, in base ai valori assoluti dei fabbisogni, emerge per commercio e turismo una domanda di occupati di oltre 750mila unità, determinata in buona parte dalla necessità di sostituzione, ma anche dalle prospettive favorevoli di ripresa del settore. Questa filiera, la più colpita dallo shock pandemico, sembra avere la prospettiva di una fase di ripresa più sostenuta «e il 2023 potrebbe essere un vero e proprio anno di svolta», segnala il documento di Unioncamere.

Qui il peso specifico del Pnrr si fa sentire: il Piano dedica infatti ingenti fondi per il rilancio del turismo e già alla fine del 2022 nell’ambito della “missione 1” sono stati raggiunti due importanti obiettivi, sottolinea l’Unione italiana delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura. «Il primo vede l’impiego di un fondo di 350 milioni di euro dalla Bei, la Banca europea per gli investimenti, per supportare progetti e investimenti di imprese private operanti nel turismo, quali la creazione e all’ammodernamento delle strutture e delle infrastrutture ricettive, interventi a favore del turismo sostenibile e connessi alla transizione verde, interventi per lo sviluppo della digitalizzazione dei processi, dell’offerta e delle competenze del personale, progetti di mobilità pulita, sostenibile e connessa per il turismo. Il secondo obiettivo riguarda la creazione di un fondo di real estate di 150 milioni di euro per acquistare, rinnovare e riqualificare strutture alberghiere italiane, strategiche e di prestigio soprattutto nelle regioni del Sud Italia».

Tra le altre filiere che esprimeranno ampi fabbisogni occupazionali c’è quella riguardante la formazione e cultura (436mila i lavoratori di cui ci sarà bisogno). La filiera dei “servizi culturali” potrà beneficiare degli interventi del Pnrr volti alla valorizzazione del patrimonio culturale, tra cui parchi e giardini storici, architettura e paesaggio rurale, il miglioramento dell’efficienza energetica di cinema, teatri e musei e la sicurezza sismica nei luoghi di culto.

Nuove opportunità di lavoro: i fattori di sviluppo

Focalizziamo l’attenzione sul mondo del lavoro in Italia: l’incremento previsto dello stock occupazionale per effetto dell’espansione economica tra il 2023 e il 2027 è di oltre 1 milione di occupati nello scenario positivo considerato, corrispondente a un tasso di crescita medio annuo dello 0,9%. A questa nuova domanda concorrono tre tendenze forti. Una prima tendenza chiara che emerge dai dati è quella legata al trend demografico, che rende sempre più importanti le attività legate alla sanità e alla cura della persona. Una seconda tendenza è costituita dall’accentuazione delle caratteristiche tecnologiche dell’occupazione: il trend verso la digitalizzazione “era già preesistente ed è stato accentuato dalla pandemia che ha dato un impulso a tutti i settori ad alta intensità tecnologica”, primo fra tutti quello dell’informatica e telecomunicazioni, per cui si prevede una crescita dello stock occupazionale al ritmo dell’1% annuo. Una terza tendenza è legata alla transizione verde. Essa costituisce uno degli elementi portanti dei finanziamenti legati al Pnrr e ha acquisito ulteriore importanza con lo scoppio della guerra in Ucraina e la rivelazione della dipendenza della Europa da fonti energetiche fossili.

Gli elementi critici da considerare

Non sarà facile, tuttavia, coprire il fabbisogno di 3,8 milioni di occupati nei prossimi 5 anni, chiarisce Unioncamere. C’è una crescente pressione dell’aspetto demografico che comporta sia un aumento dei flussi pensionistici e quindi delle uscite dal mercato del lavoro, «ma anche una riduzione del numero di persone in età lavorativa per l’invecchiamento della popolazione». Questo quadro si aggrava se si sommano altri flussi in uscita dal mercato del lavoro, quelli per emigrazione dall’Italia: nel corso del 2021 si sono registrate oltre 83mila partenze per espatrio, per il 42% composte da giovani tra 18 e 34 anni.

Nel complesso, dunque, si delinea una situazione critica in cui potrebbe non essere garantita la piena sostituzione dei lavoratori in uscita dal mercato del lavoro per la progressiva diminuzione delle coorti di possibili sostituti: secondo le previsioni Istat fino al 2030 la popolazione di 18-58enni diminuirà a un tasso dell’1% annuo.

Per evitare il peggioramento del mismatch nel mercato del lavoro, che sarà ancor più stressato nei prossimi anni per raggiungere gli obiettivi del Pnrr, «potranno essere utili politiche migratorie per favorire l’ingresso di forza lavoro qualificata, e soprattutto politiche attive del lavoro per incrementare la partecipazione attiva, insieme a misure di welfare che facilitino l’occupazione femminile e giovanile». Unioncamere ricorda, a questo proposito, che le politiche del Pnrr hanno l’obiettivo di portare un innalzamento dell’occupazione femminile entro il 2026 di 4 punti percentuali (5,5% nel Mezzogiorno) e di quella giovanile di 3,2 punti percentuali (4,9% nel Sud Italia).

I costi del mismatch tra domanda e offerta di lavoro

Nel documento emerge inoltre che «considerando nell’insieme gli indirizzi della formazione secondaria di II grado tecnico-professionale, si stima che l’attuale offerta formativa complessiva potrebbe riuscire a soddisfare solo il 60% della domanda potenziale nel prossimo quinquennio, con livelli di mismatch più critici per gli ambiti relativi a trasporti e logistica, costruzioni, sistema moda, meccatronica, meccanica ed energia per i quali si prevede che tra il 2023 e il 2027 l’offerta potrebbe coprire meno di un terzo della domanda potenziale».

Potrebbero quindi crescere ulteriormente nei prossimi cinque anni i costi del mismatch (ossia il divario tra domanda e offerta di lavoro) derivanti dal minor valore aggiunto che sarà possibile produrre nei diversi settori economici a causa del ritardato o mancato inserimento nelle imprese dei profili professionali necessari. Infatti, per il solo 2022, Unioncamere ha stimato una perdita di valore aggiunto causata dal disallineamento tra domanda e offerta di lavoro pari a circa 38 miliardi di euro, stima effettuata considerando una tempistica di difficoltà di reperimento compresa tra 2 e 12 mesi, sulla base di quanto rilevato mensilmente attraverso l’indagine campionaria presso le imprese del Sistema informativo Excelsior.

 

 

 

 

 

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