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Generosi, ma non troppo

Cinzia Di Stasio

Nell’anno più difficile della pandemia il mondo del non profit ha beneficiato ben poco degli aiuti provenienti dalle erogazioni liberali. Ne parliamo con Cinzia Di Stasio, segretaria generale dell’Istituto Italiano della Donazione che, oltre a pubblicare il report annuale “Noi doniamo”, offre un servizio di certificazione della bontà complessiva della propria organizzazione.

di Alessandro Battaglia Parodi

L’emergenza sanitaria ha spostato la gran parte degli aiuti economici verso le grandi raccolte fondi lasciando all’asciutto il Terzo settore e accelerando un trend di decrescita che era già in atto da alcuni anni. Difficile indicare con esattezza i motivi di questa lenta ma inesorabile flessione. Resta il fatto che quanto è successo nel 2020 deve rappresentare un pungolo per incoraggiare gli enti del Terzo settore a impegnarsi di più nella ricerca di fonti di sostentamento alternative. Insomma occorre rimboccarsi le maniche, essere più propositivi, meno passivi e comunicare meglio quello che si fa. Ne parliamo con Cinzia Di Stasio, segretaria generale dall’Istituto Italiano della Donazione, che oltre a fornire la fotografia annuale della generosità italiana, spiega anche come certificare il proprio ente per propiziare le donazioni.

Il rapporto “Noi doniamo” 2021 ci offre un quadro complessivo della propensione al dono nel nostro Paese. Quali sono i dati salienti che emergono dall’indagine?

«Il rapporto “Noi doniamo” che presentiamo ogni anno ai primi di ottobre in vista della Giornata del Dono, che si celebra il 4 ottobre, misura le pratiche e l’attitudine al dono degli italiani impiegando diverse fonti. Diciamo che l’indagine nasce dall’esigenza di dare risposte concrete agli enti che vogliono approfondire le complesse dinamiche del dono e attraverso quali formule esso viene espresso. Storicamente c’è sempre stata infatti una certa assenza di dati su questo tema. E il nostro intento fin dal 2008, anno di inizio della più importante crisi economica globale degli ultimi decenni, è stato quello di fornire ai nostri associati un osservatorio attento alle logiche della donazione. E soprattutto consigli su come ci si debba muovere per rendere possibile quest’opportunità».

Il report non va però in mano solo ai vostri associati…

«Esattamente, il rapporto è scaricabile da chiunque, proprio perché desideriamo fornire un’informazione trasparente e documentata a tutti gli attori del Terzo settore, nessuno escluso. Ci siamo accorti infatti che i nostri dati permettono di realizzare analisi e previsioni di trend di lungo periodo grazie alla serie storica che abbiamo raccolto in tutti questi anni. Il report riguarda le donazioni nelle sue diverse forme, non solo quelle economiche, includendo anche le donazioni di tempo, di volontariato e le donazioni biologiche. Il rapporto fa emergere quindi un quadro ampio, assai sfaccettato ma analitico delle donazioni che permette a chiunque di affacciare il proprio sguardo su più ambiti di intervento. Oltre naturalmente a dare un valore a un fenomeno che è molto più vasto di quanto appaia a prima vista. Dal 2015 abbiamo iniziato a coinvolgere nei nostri report anche i dati provenienti da Doxa, Eurisko, Istat e da altri enti che da diversi anni ci danno una mano per restituire a tutto il Terzo settore una fotografia molto dettagliata di quanto accaduto nell’anno precedente».

Il 2020 è stato l’anno sfortunato del Covid. Che cosa avete rilevato?

«Il dato più significativo è stato che la pandemia ha impattato in modo piuttosto negativo sul mondo del non profit, il quale è stato chiamato a fare di più ma con minori risorse. Le grandi organizzazioni hanno assorbito la gran parte dell’attenzione mediatica, attirando su di sé la maggior percentuale di donazioni. Sto parlando di enti assolutamente meritori come la Protezione civile, gli ospedali e altri grandi protagonisti dell’emergenza sanitaria che hanno polarizzato le forme della donazione in senso emergenziale. E in questa dinamica dettata dall’allarme e dall’urgenza il Terzo settore è rimasto escluso quasi del tutto».

I vostri dati dicono che nelle donazioni informali si è passati dal 41% del 2019 al 33% del 2020. Praticamente un tonfo…

«Sì, il dato rilevato da Doxa Bva spiega che ciò è dovuto alla rarefazione di occasioni pubbliche di solidarietà a seguito dell’emergenza sanitaria. A cominciare dalle situazioni più rituali e banali come la donazione in chiesa durante la messa o in altri contesti comunitari che sono rimasti chiusi per lunghi periodi di lockdown. La clausura e il senso di incertezza hanno fatto il resto, portando pochi denari nelle casse già mezze vuote di molte organizzazioni non profit. Si può sostanzialmente dire che il Terzo settore ha continuato a lavorare come al solito, anzi con molti impedimenti in più dovuti alla pandemia, ma nessuno se ne è accorto. Bisogna sottolineare inoltre che circa il 6% della popolazione ha donato qualcosa per l’emergenza sanitaria ma al tempo stesso non ha effettuato alcuna donazione per un’organizzazione non profit. Questo per dare una stima di coloro che a causa della pandemia hanno fatto mancare il proprio sostegno al mondo non profit».

C’era però un trend negativo già in atto in questo senso, non è vero?

«Sì, è vero, dai dati Istat si evince che il numero di donatori è in decrescita da molti anni. Occorre però ricordare che la serie raccolta risente delle varie emergenze susseguitesi negli ultimi anni, come terremoti, alluvioni ecc., e quindi delle richieste di aiuto economico da parte delle grandi raccolte fondi nazionali. Tutti appelli alla popolazione che sono in grado di spostare in alcuni anni il trend in senso negativo».

Quindi non è un processo inarrestabile, è possibile invertirne la rotta.

«Certamente, tenga presente che tutto il mondo del non profit deve ancora fare un grandissimo lavoro sul piano della propria comunicazione istituzionale per vincere la diffidenza della gente. Credo che la capacità di sensibilizzare i cittadini e intercettare la loro generosità rappresenti una delle sfide più grandi per tutto il Terzo settore negli anni a venire».

Non sanno comunicare le non profit?

«Diciamo che non sono abituate a farlo e devono ancora imparare. Si comunica troppo o troppo poco, magari con informazioni poco chiare che arrivano incomplete o distorte al donatore. Quindi inefficaci nel creare quei collegamenti interessanti e in grado di attirare l’attenzione. Credo occorra più intelligenza e mestiere nel narrare ai propri donatori quello che si fa all’interno di un’organizzazione».

La vostra attività ruota attorno alla verifica della bontà delle organizzazioni meritevoli di aiuto economico. Come avviene questa certificazione?

«A oggi siamo l’unico ente che si occupa di verifica delle credenziali di merito per ricevere donazioni. Lo facciamo dal 2005 e ormai abbiamo una bella esperienza alle spalle. Il servizio Io Dono Sicuro è il primo database in Italia composto solo da organizzazioni non profit verificate e si rivolge a due grandi target, gli enti e i donatori. I primi possono valorizzare la propria attività esibendo in maniera trasparente l’efficienza e la credibilità della propria gestione. Dall’altra parte, i donatori hanno così la possibilità di trovare l’organizzazione a cui rivolgersi con fiducia per fare un’elargizione in denaro o in beni, oltre a scegliere di offrire le proprie competenze e il proprio volontariato. Il servizio di certificazione così progettato si basa su un codice etico che nasce dagli enti di rappresentanza del Terzo settore, come il Forum Nazionale del Terzo Settore e la Fondazione Sodalitas».

La certificazione prevede quindi l’attribuzione di un bollino di qualità?

«Esattamente, e in più permette di essere inseriti in un elenco di organizzazioni meritevoli. Questo offre agli enti un’occasione preziosa per essere prescelti come fornitori di servizi. Insomma, lo strumento offre un’identificazione sicura e autorevole. Abbiamo per questo istituito anche un codice etico e una Carta della Donazione la quale rappresenta il primo codice italiano di autoregolamentazione per la raccolta e l’utilizzo dei fondi nel non profit, normando i rapporti tra beneficiari e donatori. Questi rapporti ovviamente vengono controllati periodicamente dall’istituto con i suoi certificatori e impiegando anche verificatori esterni. Sto parlando di certificatori professionisti appartenenti a enti di certificazione terzi che vengono formati all’interno del nostro istituto per svolgere quest’indagine particolare. Una sorta di audit condotto con indici di performance e valutazione molto precisi. E che riguarda tanti aspetti, non soltanto le dinamiche della raccolta fondi ma anche il trattamento economico dei dipendenti, il bilancio sociale e molte altre voci. Perché la credibilità di un’organizzazione passa soprattutto da queste cose».

 

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