Il Sud aggancia la ripresa, ma in maniera “diseguale”.
di Ciro Iacovelli
Il contenuto delle anticipazioni fornite da Svimez circa il suo Rapporto 2023, indica una ripresa sostenuta del Mezzogiorno nel biennio 21/22, con il definitivo recupero, in termini di Prodotto Interno Lordo cumulativo del biennio, di quanto perso nel 2020.
Successivamente alla sostenuta crescita del 2021 (+7,0% Italia, +7,0% Mezzogiorno), pur avendo rallentato per ovvi motivi la spinta, il 2022 è stato comunque segnato da un’inedita reattività nella fase di ripresa post-Covid (+ 3,7 Italia, + 3,5% Mezzogiorno).
Gli standard di crescita sono quasi perfettamente in linea con quelli europei. Le differenze, sostanziali, si registrano invece nei settori che determinano la crescita. Nei Servizi la crescita è simile (64% Italia, 71% Mezzogiorno), nel comparto Industria e in quello Costruzioni, invece, le parti sono invertite. Mentre nelle altre macroaree del paese si rileva la preponderanza del primo (24% Industria, 12% Costruzioni), nel Mezzogiorno continua la crescita esponenziale del settore Costruzioni (19,2% Costruzioni, 10,2% Industria), a testimonianza dell’impatto espansivo esercitato dalle varie misure di incentivazione che hanno interessato il settore e di una reattività meridionale più accentuata rispetto a esse.
Le prospettive stimate da Svimez per il prossimo triennio, incluso l’anno in corso, confermerebbero l’andamento di sostanziale allineamento dell’economia meridionale registrato nel biennio precedente. La crescita del Pil nel 2023 è stimata al +1,1%, con una crescita nel Mezzogiorno pari al +0,9%. Dovrebbe essere confermata, pertanto, la capacità di seguire le tendenze del resto del Paese anche nell’anno in corso. Anche in un contesto di crescita poco sostenuta.
Nel prossimo biennio 24/25, il Pil dovrebbe essere stimato al +1,4% per l’Italia e al +1,2% per il Mezzogiorno, con uno scarto di pochi decimi di punto. Un divario territoriale che registrerebbe livelli molto più contenuti degli anni precedenti.
I punti di debolezza
Tra i principali punti di crisi perdurante del Mezzogiorno, il Rapporto indica nella fuga delle competenze uno tra i principali. Il saldo migratorio verso l’estero di giovani laureati è negativo in tutto il paese, ma nel Sud è endemico, condizionato anche dalla migrazione interna, tra regioni, infatti tra il 2001 e il 2021 circa, mezzo milione di laureati si sono trasferiti dal Mezzogiorno al Centro-Nord. Il saldo è negativo per tutti i livelli di istruzione, ma negli ultimi anni ha registrato una decisa tendenza a sfavore dei possessori di laurea o titolo di studio superiore, che ha visto triplicare la propria percentuale, attestandosi oggi intorno al 34% delle migrazioni interne complessive.
Risulta utile ricordare che almeno un terzo riguarda giovani laureati con competenze Stem, quelle più richieste dalla ricerca e dall’industria.
I punti di forza
Supportare le filiere strategiche, corroborare gli strumenti di politica industriale complementari e selettivi. Queste le priorità emerse dal Rapporto. Il tessuto industriale meridionale è caratterizzato da fortissime potenzialità, non debitamente implementate. Si rileva ancora un forte sbilanciamento su attività a bassa produttività, mentre esiste un nucleo di imprese posizionate su catene di valore strategico e dalle alte performance, che soddisfano i requisiti della “Smart Specialization Strategy” (S3), condizione abilitante nei progetti in ricerca e innovazione, di livello nazionale ed europeo.
Solo un terzo delle imprese meridionali sono S3. I settori nei quali risultano principalmente impegnate sono energia e ambiente (13%), agroalimentare (10%), chimica verde e “made in Italy” (con quote pari in entrambi i casi al 7%) e aerospazio (5,8%). Assorbono il 44% dell’occupazione e producono il 53% del valore aggiunto di tutta l’area. Sono soprattutto responsabili del 78% dell’export complessivo e rappresentano la maggioranza delle imprese che investono in R&S (76%), digitalizzazione (71%) e internazionalizzazione (83%), oltre ad essere più aperte a collaborazioni esterne: il 66% delle imprese che collaborano con le Università, detiene i requisiti S3.
L’agroalimentare meridionale è indubbiamente un altro punto di forza, sia nel suo profilo strettamente agricolo, che in quello industriale. L’accesso ai mercati esteri ha segnato +81% il 2014 e il 2022, contro una media del +61% dell’export complessivo dell’area. Le potenzialità di crescita sono ancora da esplorare nella sua interezza, ma anche in questo settore il fattore della ricerca è essenziale, specie nel suo equilibrio con la sostenibilità ambientale e le nuove tecnologie energetiche.
Un ultimo riferimento è dovuto agli strumenti di politica industriale, in particolare Zone economiche speciali (Zes), Contratti di sviluppo (Cds), Fondi per l’internazionalizzazione, Accordi di Innovazione, che risultano essere strumenti individuati dal Rapporto come essenziali per la crescita del Sud, a parte il Pnrr. I Cds, in particolare, sono apparsi capaci di essere attrattivi per le imprese del Sud. Secondo Invitalia, nel periodo 2012-22 sono state presentate domande per complessivi 27 miliardi di investimenti e finanziati progetti per 4,5 miliardi di agevolazioni che hanno attivato un totale di 12,3 miliardi di investimenti.
Anche lo strumento della Zes è risultato, almeno nelle esperienze estere, uno strumento di politica industriale capace di sostenere i processi di industrializzazione di aree depresse. Ma deve trovare un forte commitment politico, amministrazioni efficienti, buona dotazione infrastrutturale, adeguate misure di agevolazione e sostegno. Le recenti notizie relative alla sua estensione per tutta l’area meridionale fanno ben sperare, ma bisogna attendere maggiori dettagli per una valutazione definitiva.