L’indagine definisce l’indice di innovazione di ciascun Paese sulla base di 12 differenti parametri, suddivisi in 4 macro categorie: le condizioni quadro (capitale umano, attrattività, digitalizzazione); gli Investimenti (pubblici e privati); le attività condotte (innovazioni introdotte da parte delle imprese, collaborazioni tra imprese, università e centri di ricerca, proprietà intellettuali (domande di brevetti presentate); Impatti dell’innovazione (sull’occupazione, sulle vendite e sull’ambiente)
di Antonio Nastri
La pubblicazione annuale dell’European Innovation Scoreboard (EIS) da parte della Commissione europea propone una fotografia dettagliata dello stato dell’arte dell’Innovazione nei paesi europei.
I parametri
L’insieme di questi parametri – sono previsti in tutto 32 indicatori – definisce il posizionamento di ciascun Paese e la sua attribuzione ad uno dei seguenti cluster:
- gli “innovator leaders”, ovvero i paesi che registrano performance superiori al 125% della media UE
- gli “strong innovators”, che hanno performance comprese tra il 100% e il 125% della media UE
- i “moderate innovators”, tra il 70% e il 100% della media UE
- gli “emerging innovators”, con performance inferiori al 70% della media UE.
In Italia
Per quanto riguarda l’Italia, il nostro paese si colloca al ventesimo posto nel ranking europeo (al sedicesimo se si considerano i soli paesi UE) nel gruppo degli innovatori moderati ed ha una performance dell’89,6% rispetto alla media UE.
Pur riconoscendo i progressi compiuti dal nostro paese negli ultimi anni nel cercare di colmare il gap rispetto ai paesi più performanti, il punteggio attribuito all’Italia risulta penalizzato da una serie di criticità che tuttora limitano la capacità di generare o di valorizzare l’innovazione.
Le criticità
Tra queste criticità, le più rilevanti – che, pertanto, rappresentano le principali aree di miglioramento sulle quali intervenire – si segnalano:
- una percentuale più bassa, all’interno della forza lavoro, di personale che abbia completato gli studi universitari. Un livello inferiore di istruzione terziaria riduce la capacità del paese di generare una forza lavoro altamente qualificata, necessaria per sostenere e sviluppare tecnologie avanzate e innovazioni.
- La limitata attrattività nei confronti dei talenti internazionali. La bassa attrattiva per gli studenti di dottorato stranieri limita il flusso di nuove idee e competenze nel paese, che sono fondamentali per l’innovazione scientifica e tecnologica.
- La ridotta mobilità del lavoro. La limitata mobilità del lavoro tra professionisti della scienza e della tecnologia può impedire il trasferimento di conoscenze e competenze tra settori, riducendo la capacità delle aziende e delle istituzioni di adattarsi rapidamente alle nuove tecnologie e innovazioni.
Il suggerimento
Queste tre criticità sono descritte dal rapporto come punti di debolezza strutturali dell’Italia. C’è, però, a una lettura più attenta un altro elemento che desta ancora più preoccupazione e riguarda le basse prestazioni in termini di impatti economici dell’innovazione, ovvero la capacità di quest’ultima di generare risultati significativi in termini di esportazioni di prodotti a medio-alta tecnologia, servizi ad alta intensità di conoscenza e vendite derivanti da prodotti innovativi. L’talia, in relazione a questo indicatore non solo risulta meno performante rispetto alla media dei paesi UE, ma ha anche peggiorato le proprie prestazioni rispetto all’indagine 2023.
Si tratta di un dato preoccupante perché la limitata capacità di generare impatti economici dall’innovazione penalizza notevolmente gli investimenti sostenuti e la possibilità di sostenere ulteriori investimenti nel lungo periodo.
Al fine di superare questi limiti, il suggerimento che emerge dall’indagine per l’Italia è quello di affrontare il tema dell’innovazione con un approccio olistico che, in maniera sinergica, intensifichi gli investimenti nell’istruzione da un lato e, dall’altro lato, aumenti le opportunità di collaborazione tra pubblico e privato e la mobilità dei lavoratori. Il rapporto inoltre evidenzia la necessità di sostenere gli sforzi compiuti dalle PMI nell’innovazione supportandone anche la capacità di internazionalizzare il proprio business e di esportare i propri prodotti o servizi innovativi ad alta intensità di conoscenza.